Migliorie apportate ad un fondo

Quesito: “Sono il conduttore di un fondo con insistente una casa colonica. Il contratto di locazione mi scade alla fine della presente annata agraria ed ha avuto durata di 15 anni nel corso dei quali ho eseguito delle importanti opere di miglioria sia ai terreni sia alla casa colonica dove ho abitato in questi anni. La proprietà mi ha sempre data assenso verbale a tali migliorie rifiutandosi di porre tale adempimento per iscritto. In alcuni casi ho eseguito di mia volontà tali migliorie, tuttavia la proprietà, avuta coscienza delle stesse, non ha mai espresso dissenso, anzi ha manifestato compiacimento per le opere eseguite. Al rilascio del fondo mi spetta l’indennità per le migliorie apportate?”

L’esecuzione di miglioramenti fondiari non comporta necessariamente il sorgere di un diritto di credito in capo al conduttore-esecutore. Perché all’esecuzione di opere segua il diritto all’indennizzo è necessario che sussistano tutti i fatti costitutivi di tale diritto, ossia i requisiti richiesti dall’ art. 16 della Legge n. 203 del 1982, a norma del quale i miglioramenti eseguiti dal conduttore di un fondo rustico danno diritto all’indennità, in quanto vengano autorizzati prima che gli stessi siano posti in essere. A nulla rileva la condotta del concedente successiva alla loro realizzazione. L’assenza dell’assenso antecedente all’esecuzione delle opere comporta un difetto della condizione legittimatrice all’esecuzione stessa, preclusiva del diritto all’indennità. Ne segue, pertanto, che l’esecuzione di miglioramenti o di trasformazioni da parte del conduttore in tanto può considerarsi legittima, in quanto venga osservata la procedura di legittimazione prevista dall’art. 16, ossia l’accordo preventivo delle parti o, in assenza di quest’ultimo, il parere favorevole dell’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura.

In giurisprudenza, partendo dal principio secondo cui il consenso del concedente all’esecuzione di miglioramenti può essere prestato in qualunque modo, si è, tuttavia, affermato, da una parte, che non integra gli estremi del consenso tacito il mero silenzio del concedente, pur quando questi sia a conoscenza dell’operato del coltivatore e dall’altra che il consenso non può reputarsi presunto sulla base della circostanza che i lavori abbiano comportato un notevole miglioramento del fondo. Proprio sull’argomento, una recente pronuncia della Corte di Cassazione ha affermato che il consenso può essere tacito, ossia manifestato per fatti concludenti incompatibili con la volontà di opporsi o dai quali il consenso sia comunque deducibile con certezza, ma deve in ogni caso precedere, quale condizione legittimante di tipo autorizzativo, e non seguire l’esecuzione delle opere. L’assenso successivo può solo sanare la situazione di illegittimità dell’opera eseguita senza far sorgere ex post il diritto all’indennizzo.

Alla luce di quanto affermato in giurisprudenza e guardando al caso concreto prospettato nel quesito, ritengo che sia sicuramente preclusa qualunque possibilità di indennizzo nei casi in cui le opere siano state eseguite senza il consenso del concedente (a nulla rileva il suo compiacimento). Quanto, invece, ai casi in cui la proprietà ha manifestato il proprio assenso, non ritengo di poter formulare una risposta, non potendo desumere dal testo del quesito elementi per collocare temporalmente tale assenso, ossia se antecedente o successivo alla realizzazione delle opere.

Da ultimo si precisa che ex art. 17 Legge 203 del 1982, l’indennizzo è pari all’aumento del valore di mercato conseguito dal fondo a seguito dei miglioramenti ed il valore di mercato del fondo senza migliorie. Se tra le parti non interviene accordo sulla misura dell’indennità, la stessa è determinata dall’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura.

Avv. Marcello BOSSI

Torino

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