Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: è legittimo anche quando non vengono soppresse dal datore di lavoro tutte le mansioni attribuite in precedenza al dipendente

Con la sentenza del 06.07.2012, n. 11402 la Corte di Cassazione ha affermato, in materia di licenziamento, i seguenti principi:

  1. il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, nel cui ambito rientra anche l’ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell’impresa, è rimesso alla discrezionalità del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, atteso che tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Costituzione, mentre al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore;
  2. ai fini della configurabilità della ipotesi di soppressione del posto di lavoro, integrante (nella impossibilità di una diversa collocazione del dipendente) il giustificato motivo oggettivo di recesso, non è necessario che vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, nel senso della loro assoluta e definitiva eliminazione nell’ottica dei profili tecnici e degli scopi propri dell’azienda di appartenenza, atteso che le stesse ben possono essere soltanto diversamente ripartite e attribuite nel quadro del personale già esistente, secondo insindacabili e valide, o necessitate, scelte datoriali relative ad una ridistribuzione o diversa organizzazione imprenditoriale, senza che detta operazione comporti il venir meno della effettività di tale soppressione;
  3. l’onere, incombente sul datore di lavoro, di dimostrare l’impossibilità di adibire il lavoratore allo svolgimento di altre mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza, concernendo un fatto negativo, va assolto mediante la dimostrazione di fatti positivi corrispondenti, quali la circostanza che i residui posti di lavoro, riguardanti mansioni equivalenti, fossero al tempo del licenziamento stabilmente occupati da altri lavoratori ovvero che, dopo il licenziamento e per un congruo periodo, non sia stata effettuata alcuna nuova assunzione nella stessa qualifica dei lavoratori licenziati; d) l’onere della dimostrazione della impossibilità di adibire il lavoratore allo svolgimento di altre mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza, pur gravando interamente sul datore di lavoro e non potendo essere posto a carico del lavoratore, implica comunque per quest’ultimo un onere di deduzione e allegazione della possibilità di essere adibito ad altre mansioni, sicché ove il lavoratore ometta di prospettare nel ricorso tale possibilità, non insorge per il datore di lavoro l’onere di offrire la prova sopraindicata.

La Suprema Corte ha affermato, altresì, che al fine di poter ritenere possibile un utilizzo parziale del lavoratore nella medesima posizione lavorativa, se del caso ridotta con l’adozione dei part-time, è necessario che le mansioni diverse da quelle soppresse rivestano, nell’ambito del complesso dell’attività lavorativa svolta, una loro oggettiva autonomia, non risultino cioè intimamente connesse con quelle (prevalenti) soppresse, in modo che possa ritenersi che il residuo impiego, anche part-time, nelle mansioni non soppresse, non finisca per configurare la creazione di una diversa ed autonoma posizione lavorativa, con indebita alterazione dell’organizzazione produttiva; in altri termini l’attività – pur minoritaria – non oggetto di soppressione dovrebbe qualificarsi in termini di effettiva autonomia, si da poter ritenere che la posizione lavorativa fosse connotata in termini di affiancamento di diverse mansioni, ciascuna delle quali indipendente e distinta – anche in termini logistici e temporali – dallo svolgimento dell’altra e non già intimamente connesse fra loro, come dovrebbe invece ritenersi laddove le mansioni non soppresse fossero svolte in via sostanzialmente ausiliaria o complementare di quelle oggetto di soppressione.

Torino

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