Diritto agrario: l’esercizio della prelazione agraria da parte del coltivatore diretto proprietario del fondo confinante con quello offerto in vendita

La questione giuridica decisa dalla Suprema Corte con la sentenza n. 5952 del 25.03.2016 – su cui non risultano precedenti di legittimità in termini – è originata dalla peculiarità della fattispecie concreta, in cui il fondo confinante con il terreno oggetto di riscatto risulta condotto in affitto da una società semplice. In particolare, il problema che viene in rilievo, in considerazione della circostanza che tra i soci vi è uno dei comproprietari del fondo stesso, è se costui sia o meno titolare del diritto di prelazione agraria e dello speculare diritto di riscatto nella ricorrenza degli altri requisiti di legge.

Si rileva, innanzitutto, come la giurisprudenza di legittimità sia costante nell’affermare che le norme sul diritto di prelazione e di riscatto, di cui alla L. n. 590 del 1965, art. 8 e successive modificazioni e alla L. n. 817 del 1971, art. 8, sono norme di stretta interpretazione, che prevedono un numero chiuso di ipotesi e non consentono estensioni al di fuori di quelle tassativamente previste (ex multis, Cass. civ. 5 marzo 2007, n. 5072; Cass. civ. 1 aprile 2003, n. 4914.). E ciò per l’ovvia considerazione che il diritto di prelazione e di riscatto apportano, in concreto, una significativa limitazione del diritto di proprietà garantito dall’art. 42 Cost., perchè una delle prerogative fondamentali del proprietario è quella di alienare il proprio diritto ad un soggetto liberamente scelto; facoltà che risulta fortemente compressa dalle norme sul diritto di prelazione.

L’esegesi delle norme che disciplinano il diritto di prelazione agraria e di riscatto esige, quindi, un costante bilanciamento tra valori costituzionalmente rilevanti, atteso che il fondamento dell’istituto di cui alla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8 e successive modificazioni e alla L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7, si rinviene nell’intento del legislatore di favorire la riunione nella medesima persona della condizione di proprietario del fondo e di coltivatore dello stesso, nonchè di agevolare la formazione e lo sviluppo della proprietà contadina, attraverso un accorpamento dei fondi idoneo a migliorarne la redditività, evitando, nel contempo, che l’esercizio della prelazione avvenga per finalità meramente speculative.

Sulla base di tale premessa, la norma di cui alla L. n. 817 del 1971, art. 7, nella parte in cui al comma 2, n. 2), stabilisce che il diritto di prelazione (e quindi di riscatto) spetta anche “al coltivatore diretto proprietario di terreni confinanti con fondi offerti in vendita, purchè sugli stessi non siano insediati mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti od enfiteuti coltivatori diretti”, va interpretata nel senso che, da un lato, il diritto di prelazione (o quello succedaneo di riscatto) del proprietario confinante è destinato a cedere rispetto a quello esercitato dal mezzadro (colono, affittuario, ecc) insediato nel fondo oggetto di alienazione e, dall’altro, che il proprietario del fondo confinante con quello in vendita, in tanto risulta titolare di siffatto diritto, in quanto non solo abbia la qualità di coltivatore diretto ma, contemporaneamente, coltivi direttamente il terreno confinante con quello in vendita.

Costituisce invero affermazione costante nella giurisprudenza di legittimità quella che, ai fini dell’esercizio della prelazione da parte del proprietario confinante del fondo compravenduto ai sensi della L. n. 817 del 1971, è necessario non solo che lo stesso rivesta la qualifica di coltivatore diretto per essere dedito in concreto alla attività agricola, ma altresì che coltivi direttamente il fondo adiacente a quello posto in vendita, non essendo sufficiente che eserciti altrove l’attività di agricoltore. L’intento perseguito dal legislatore è, infatti, l’ampliamento dell’impresa coltivatrice diretta finitima, non già l’acquisto della proprietà della terra da parte di qualsiasi coltivatore diretto (Cass. civ. 27 gennaio 2010, n. 1712; Cass. civ. 16 marzo 2005, n. 5682; Cass. civ. 22 giugno 2001, n. 8595).

Merita rammentare, a tal proposito, che una recente sentenza delle Suprema Corte ha affermato che il diritto di prelazione e riscatto agrario, previsto dalla L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7, non spetta al confinante nudo proprietario, in quanto tale privo della qualità di coltivatore diretto del fondo, che non ha poteri di godimento del bene, di cui potrebbe non diventare mai pieno proprietario. (Cass. civ. 7 aprile 2015, n. 6904).

In altri termini la legge, nel riconoscere il diritto di prelazione al proprietario coltivatore diretto di terreni confinanti, postula una coincidenza tra titolarità del fondo ed esercizio dell’attività agricola. E se questa è la condizione indicata dalla legge, è evidente che lo stesso diritto non può essere riconosciuto al proprietario che abbia concesso in affitto il fondo ad una società, ancorchè di persone, come la società semplice; e ciò quand’anche il proprietario sia anche socio della società, giacche, in tal caso, è la società che è nel godimento del fondo e si manifesta ed agisce all’esterno come titolare dell’attività agricola.

Si precisa infatti che il sistema delineato dall’art. 2266 c.c., e segg., riconducibile ad un’autonomia patrimoniale imperfetta, postula che la società debba essere considerata come un complesso unitario, portatore di una propria volontà e di propri interessi giuridicamente protetti, diversi e distinti da quello delle persone fisiche dei singoli soci; con la specifica conseguenza che il (com)proprietario del fondo, nell’ambito del contratto di affitto, assume la veste di concedente, che non può essere confusa con la posizione dell’affittuaria, che è riferibile alla società.

Con la sentenza n. n. 5952 del 25.03.2016 la Suprema Corte ha pertanto enunciato il seguente principio di diritto:

poiché il diritto di prelazione e di riscatto agrari costituiscono ipotesi tassative, regolate dalla legge e non suscettibili di interpretazione estensiva, i diritti di prelazione e di riscatto del confinante, previsti dalla L. n. 817 del 1971, art. 7, comma 2, n. 2), non spettano al socio della società semplice, affittuaria del fondo rustico, ancorché il socio sia anche comproprietario del fondo, dal momento che la norma richiede la coincidenza tra la titolarità del fondo e l’esercizio dell’attività agricola, nella specie riferibile alla società.

Avv. Marcello Maria BOSSI

Avv. Alessia GOLZIO

Torino

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