Contratto a termine: il datore di lavoro deve specificare per iscritto e con adeguata motivazioni le ragioni che giustificano l’apposizione del termine

Con la sentenza del 25.05.2012, n. 8286 la Corte di Cassazione ha affermato che il D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, recante l’attuazione della direttiva 1999/70 CE, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEP e dal CES, costituisce la nuova fonte regolatrice del contratto di lavoro a tempo determinato, in sostituzione della L. 18 aprile 1962, n. 230 e della successiva legislazione integrativa.Il legislatore nazionale, nell’adempiere al suo obbligo comunitario, ha emanato il D.Lgs. n. 368, il quale nel testo originario, vigente all’epoca del contratto ora in questione, all’art. 1 prevede che “è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” (comma 1) e che “l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1” (comma 2).

Contestualmente al recepimento dell’accordo-quadro il D.Lgs. n. 368 ha disposto dalla data della propria entrata in vigore (24.10.01) l’abrogazione della L. 18 aprile 1962, n. 230, della L. 25 marzo 1983, n. 79, art. 8 bis, della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, e di tutte le disposizioni di legge incompatibili (art. 11, comma 1). Il quadro normativo che emerge è, dunque, caratterizzato dall’abbandono del sistema rigido previsto dalla L. n. 230 del 1962 – che prevedeva la tipizzazione delle fattispecie legittimanti, peraltro già ripensato dalla successiva normazione delle L. n. 79 del 1983, e della L. n. 56 del 1987, art. 23 – e dall’introduzione di un sistema articolato per clausole generali, in cui l’apposizione del termine è consentita a fronte “di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”.

Tale sistema, al fine di non cadere nella genericità, impone al suo interno un fondamentale criterio di razionalizzazione costituito dal già rilevato obbligo per il datore di lavoro di adottare l’atto scritto e di “specificare” in esso le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo adottate. L’onere di “specificazione” nell’atto scritto costituisce una perimetrazione della facoltà riconosciuta all’imprenditore di far ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato per soddisfare una vasta gamma di esigenze aziendali (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o aziendale), a prescindere da fattispecie predeterminate. Tale onere ha lo scopo di evitare l’uso indiscriminato dell’istituto per fini solo nominalmente riconducibili alle esigenze riconosciute dalla legge, imponendo la riconoscibilità della motivazione addotta già nel momento della stipula del contratto. D’altro canto il venir meno del sistema delle fattispecie legittimanti impone che il concetto di specificità sia collegato a situazioni aziendali non più standardizzate ma obiettive, con riferimento alle realtà in cui il contratto viene ad essere calato.Secondo la Suprema Corte non è, pertanto, sufficiente a qualificare le ragioni per le quali viene disposta l’assunzione a termine la mera indicazione di esigenze produttive ed organizzative, essendo necessario che di tali esigenze si “specifichi” congruamente la natura o che almeno la specificazione delle ragioni giustificatrici risulti per relationem ove le parti abbiano richiamato nel contratto di lavoro testi scritti che prendono in esame l’organizzazione aziendale e ne analizzano le complesse tematiche operative.

Torino

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