La normativa di riferimento per la quantificazione dell’indennità di esproprio di beni immobili a seguito di procedimenti intentati dalla Pubblica Amministrazione è contenuta nel D.P.R. 327/2001 – “Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità”.
Prima dell’elaborazione di detto testo, la normativa in materia era caratterizzata da una scarsa omogeneità e per la determinazione dei criteri di liquidazione era necessario far riferimento a diversi testi legislativi e, soprattutto, a fonti cronologicamente datate e frutto di vari tentativi di apportare correttivi alla Legge 2359/1865 (“Disciplina dell’espropriazione forzata per causa di pubblica utilità”), la prima legge generale organica in fatto di espropri.
Con l’entrata in vigore del Testo Unico sono, pertanto, state abrogate non solo la Legge 2359/1865 ma anche la successiva Legge 865/1971, anch’essa contenente norme sull’espropriazione finalizzata alla realizzazione di interventi di edilizia residenziale e di opere pubbliche di competenza degli enti locali, la quale prevedeva l’utilizzo del criterio del valore agricolo medio (V.A.M.) sia per la determinazione dell’indennità di esproprio di aree non edificabili ma non effettivamente coltivate sia per la determinazione dell’indennità provvisoria. Alle disposizioni frammentarie precedenti è stato così sostituito un testo unitario all’interno del quale la norma cardine nell’ipotesi di esproprio di aree non edificabili era l’art. 40 il quale così recitava:
“1.Nel caso di esproprio di un’area non edificabile, l’indennità definitiva è determinata in base al criterio del valore agricolo, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e del valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione all’esercizio dell’azienda agricola, senza valutare la possibile o l’effettiva utilizzazione diversa da quella agricola.
2. Se l’area non è effettivamente coltivata, l’indennità è commisurata al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura prevalente nella zona ed al valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati.
3. Per l’offerta da formulare ai sensi dell’articolo 20, comma 1, e per la determinazione dell’indennità provvisoria, si applica il criterio del valore agricolo medio di cui all’articolo 41, comma 4, corrispondente al tipo di coltura in atto nell’area da espropriare.
4. Al proprietario coltivatore diretto o imprenditore agricolo a titolo principale spetta un’indennità aggiuntiva, determinata in misura pari al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticata.
5. Nei casi previsti dai commi precedenti, l’indennità è aumentata delle somme pagate dall’espropriato per qualsiasi imposta relativa all’ultimo trasferimento dell’immobile”.
Da detta norma ne discendeva che, ad eccezione delle aree non edificabili ma effettivamente coltivate per le quali veniva utilizzato come criterio di computo dell’indennità il valore agricolo dell’area espropriata tenuto conto sia delle colture effettivamente praticate sul fondo sia del valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, per le aree non effettivamente coltivate il relativo valore doveva essere parametrato ai V.A.M..
Questa disparità di trattamento è stata superata per effetto di un’interpretazione giurisprudenziale della norma in esame la quale ha ritenuto illegittimo l’utilizzo dei V.A.M. a favore del valore di mercato così sostituendo ad un criterio astratto e predeterminato, svincolato dalla considerazione dell’effettivo valore del fondo (si ricorda infatti che i V.A.M. venivano determinati da una Commissione provinciale nell’ambito delle singole regioni agrarie, con riferimento ai valori dei terreni considerati liberi da vincoli di contratti agrari, secondo i tipi di coltura effettivamente praticati, e rilevati nell’anno solare precedente) con un criterio reale.
Detta innovazione è avvenuta mediante una pronuncia della Corte Costituzionale (sentenza n. 181 del 10.06.2011) la quale, uniformandosi alla giurisprudenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi nn. 2 e 3 dell’art. 40 D.P.R. 327/2001 laddove gli stessi prevedevano che l’indennità venisse commisurata al valore agricolo medio così creandosi una netta spaccatura tra la disciplina riservata alle aree edificabili e quella dettata per le aree non edificabili.
La Corte, rammentato che l’esproprio rappresenta un sacrificio imposto ad un privato per la soddisfazione di un interesse generale e che, per quanto l’indennità non debba assicurare l’integrale riparazione della perdita subita, essa non deve comunque mai essere simbolica o irrisoria ma deve rappresentare un serio ristoro, garantito dall’art. 42, comma 3 Cost., ha statuito che per raggiungere tale finalità occorre commisurare l’indennità al valore del bene ablato determinato sulla base delle sue caratteristiche essenziali.
Solo in questo modo, secondo la Corte, può essere assicurata la congruità del ristoro spettante all’espropriato ed evitare che lo stesso sia meramente apparente.
I terreni agricoli vengono così equiparati ai terreni edificabili ed in caso di esproprio devono essere monetizzati sulla base dell’effettivo valore di mercato, senza possibilità di ricorso ad automatismi tabellari, ormai illegittimi.
L’intervento della Corte Costituzionale non ha investito l’intero art. 40 del D.P.R. 327/2001 ma solo i commi nn. 2 e 3, con la conseguenza che continuano a trovare applicazione gli altri commi del precisato articolo.
Quanto al primo comma, a norma del quale l’indennità definitiva è determinata in base al criterio del valore agricolo, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e del valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione all’esercizio dell’azienda agricola, la mancata previsione del valore agricolo medio nonché il riferimento alle colture effettivamente praticate sul fondo consentono una interpretazione della norma costituzionalmente orientata.
Quanto al quarto comma, il quale contiene una norma destinata a trovare applicazione esclusivamente nell’ipotesi in cui il proprietario dell’area oggetto di esproprio sia un coltivatore diretto o un imprenditore agricolo a titolo principale, esso continua a trovare applicazione anche dopo la nota sentenza della Corte Costituzionale in quanto norma di garanzia di un altro diritto costituzionalmente tutelato, il lavoro (Cass. Civ. 24.04.2014, n. 9269): l’indennità aggiuntiva, dovuta in ragione della professionalità del soggetto espropriato ed autonoma rispetto all’indennità di espropriazione, continuerà ad essere liquidata sulla base al valore agricolo medio.
Si ricorda da ultimo che la medesima garanzia di tutela del lavoro è riconosciuta al conduttore, al mezzadro ovvero al compartecipante dal successivo art. 42 D.P.R. 327/2001 la cui finalità è quella di fungere la risarcimento autonomo rispetto a quello previsto per il proprietario.
In conclusione, tanto per le aree non coltivate quanto per le aree effettivamente coltivate, l’indennizzo deve essere calcolato in base ai valori di mercato di detti beni immobili.
L’indennizzo così calcolato è, poi, soggetto alla maggiorazione di cui all’art. 40, comma 4 D.P.R. 327/2001, computata in base ai V.A.M., nel caso in cui il proprietario sia un coltivatore diretto o un imprenditore agricolo ovvero accompagnato all’indennità aggiuntiva di cui all’art. 42 D.P.R. 327/2001 nel caso in cui il fondo sia coltivato da conduttore, mezzadro o compartecipante e ciò in quanto, in assenza di uno specifico provvedimento legislativo in materia, non si può ritenere che le citate norme siano state coinvolte nella declaratoria di incostituzionalità. Di conseguenza il perdurante riferimento al V.A.M., assunto quale criterio di calcolo delle indennità aggiuntive, deve considerarsi tuttora valido per determinare le predette indennità (Cons. Stato 21.03.2012, n. 29).
Occorre ora verificare se lo stesso criterio di determinazione dell’indennità aggiuntiva possa essere seguito nell’ipotesi in cui il proprietario coltivatore diretto decida di aderire alla procedura di cessione volontaria del bene oggetto della dichiarazione di pubblica utilità in alternativa al provvedimento amministrativo.
Prima della sentenza della Corte Costituzionale, l’art. 45 D.P.R. 327/2001 prevedeva che al proprietario coltivatore diretto del fondo spettasse un corrispettivo calcolato moltiplicando per 3 il valore agricolo medio di cui all’art. 40, comma 3.
Essendo, tuttavia, venuto meno il criterio dei V.A.M. di cui all’art. 40, comma 3 D.P.R. 327/2001 ed in assenza di una norma che disciplini detta fattispecie, secondo la giurisprudenza della Corte dei Conti (Cons. Stato 21.03.2012, n. 29) l’unica via percorribile sarà quella della determinazione del corrispettivo per la cessione volontaria con le medesime modalità ora possibili per il calcolo dell’indennità di espropriazione ovvero sulla base del valore venale del bene nel caso di aree non edificabili e non coltivate e in base al valore agricolo effettivo per le aree non edificabili e coltivate.
Non potranno, invece, più essere applicate le maggiorazioni previste dall’art. 45, comma 2 lett. c) e d) D.P.R. 327/2001.
Avv. Marcello BOSSI