Il Decreto Legge n. 18 del 17.03.2020 (c.d. Cura Italia), all’articolo 42, comma 2, prevede che “Nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato. Le prestazioni INAIL nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro. I predetti eventi infortunistici gravano sulla gestione assicurativa e non sono computati ai fini della determinazione dell’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico di cui agli articoli 19 e seguenti del Decreto Interministeriale 27 febbraio 2019. La presente disposizione si applica ai datori di lavoro pubblici e privati.”
Pertanto qualora un lavoratore venga contagiato dal Coronavirus, l’Inail classificherà il contagio come infortunio sul lavoro, con tutte le responsabilità che ne conseguono per il datore di lavoro, poiché il dipendente potrebbe rivalersi sull’azienda per richiedere il risarcimento danno subito.
Ovviamente il lavoratore dovrebbe provare di aver contratto il contagio nello svolgimento dell’attività lavorativa, anche se risalire al momento del contagio non è proprio facilissimo.
Per prima cosa bisogna chiedersi se l’infezione da nuovo Coronavirus è una malattia professionale o un infortunio.
In seguito alla pubblicazione della circolare n. 13 del 3 aprile 2020, l’INAIL ha fornito indicazioni sulle prestazioni garantite ai suoi assicurati in caso di infezione da nuovo Coronavirus di origine professionale.
Nella nota della Direzione centrale rapporto assicurativo e della Sovrintendenza sanitaria centrale Inail del 17marzo 2020, si chiarisce che l’infezione da nuovo Coronavirus va trattata come infortunio sul lavoro (malattia-infortunio).
Il presupposto tecnico-giuridico è quello dell’equivalenza tra causa violenta, richiamata per tutti gli infortuni, e causa virulenta, costituita dall’azione del nuovo Coronavirus.
Ai fini del riconoscimento dell’infortunio da nuovo Coronavirus sono da ammettersi a tutela Inail tutti i casi in cui sia accertata la correlazione con il lavoro.
In alcune categorie, per le quali si sia estrinsecato il cosiddetto “rischio specifico”, vale la presunzione di esposizione professionale.
Per gli eventi riguardanti gli altri casi, si applicherà l’ordinaria procedura di accertamento medico-legale che si avvale essenzialmente dei seguenti elementi: epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale.
Rientrano appieno nell’assunto di rischiosità specifica, per la quale l’accertamento medico-legale si avvale della presunzione semplice, le fattispecie riguardanti gli operatori sanitari.
Nell’attuale situazione pandemica, questo rischio specifico connota anche altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/l’utenza: lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, personale non sanitario operante all’interno delle strutture sanitarie con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi, ecc…
Questo elenco, anticipato anche nella circolare Inail n. 13, è solo esemplificativo, ma non esaurisce la numerosità delle categorie che possono avvalersi della presunzione di esposizione professionale.
Tra le altre categorie con rischio specifico rientrano gli operatori socio-sanitari delle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) e i tassisti? Queste categorie, in parte già esplicitate nell’elenco esemplificativo proposto nella circolare n. 13 del 3 aprile2020, rientrano appieno tra quelle di lavoratori con elevato rischio di contagio per le quali far valere la presunzione di esposizione professionale.
Per gli altri lavoratori, non potendosi far valere la presunzione di origine professionale, l’assunzione in tutela seguirà al positivo accertamento medico-legale.
Quest’ultimo sarà ispirato all’ordinaria procedura medico-legale, privilegiando gli elementi: epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale.
Si precisa che sono tutelati anche i casi di infezione avvenuti in itinere.
L’infezione da Covid-19 tutelabile può infatti essere derivata anche da infortunio in itinere.
Posto che in quest’ultima fattispecie non sono catalogati soltanto gli accidenti da circolazione stradale, ma tutti quelli occorsi al lavoratore assicurato durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, anche gli eventi di contagio da nuovo coronavirus accaduti durante tale percorso sono configurabili come infortunio in itinere.
Per tale evento l’accertamento medico-legale si avvarrà di altri elementi di asseverazione, in aggiunta a tutti quelli già richiamati in precedenza, come per esempio dell’esame della tipologia di mezzo utilizzato, del percorso e della frequenza degli spostamenti.
In caso di infezione da nuovo Coronavirus o di sospetto di contagio in occasione di lavoro, come per gli altri casi di infortunio, il datore di lavoro deve procedere alla denuncia/comunicazione di infortunio ai sensi dell’art. 53 del dpr 30 giugno 1965, n. 1124 e s.m.
Il medico certificatore che ha fornito la prima assistenza deve pertanto trasmettere all’Inail il certificato di infortunio.
La tutela Inail decorre da quando risulta accertata la conferma diagnostica, che rappresenta il momento della regolarizzazione del caso da cui far decorrere la tutela.
Qualora il soggetto sia stato in malattia (all’epoca sospetta Covid-19) e, quindi, in quarantena o in isolamento fiduciario domiciliare, la conferma del test consentirà la regolarizzazione del caso con decorrenza dal momento della attestata assenza dal lavoro. La nota della Direzione centrale rapporto assicurativo e della Sovrintendenza sanitaria centrale del 17 marzo 2020, infatti, precisa che la tutela Inail copre l’intero periodo di quarantena.
In altri casi, invece, la tutela da parte dell’INAIL è da porre in riserva di regolarità.
La riserva di regolarità deve essere posta in tutti i casi in cui i dati sanitari disponibili non consentono di porre diagnosi di certezza, anche per le categorie di lavoratori a rischio richiamati nella nota della Direzione centrale rapporto assicurativo e della Sovrintendenza sanitaria centrale Inail del 17marzo 2020.
In caso di assenza di infezione da nuovo Coronavirus, il caso non potrà essere accolto dall’Inail per mancanza dell’evento tutelato, cioè della malattia-infortunio.
La qualificazione di Covid-19 quale infortunio Inail è oggi fondata sulla positività del test di conferma.
Allo stato la diagnosi di sospetto clinico, data la variabilità di quadri e la sovrapposizione con altri processi morbosi, non è da solo utile per ammissione a tutela.
Tuttavia, stante la segnalata incostanza nell’effettuazione dei test su tampone, secondaria alle difficoltà operative in fase di emergenza, in tali fattispecie può intendersi per conferma diagnostica ai fini medico-legali-indennitari, la ricorrenza di un quadro clinico suggestivo di Covid-19, accompagnato da una rilevazione strumentale altrettanto suggestiva, in compresenza di elementi anamnestico-circostanziali ed epidemiologici dirimenti.
Potrà confortare la diagnosi il risultato del test sierologico, qualora disponibile.
Nel caso di infezione riconosciuta come malattia-infortunio Inail, il periodo di quarantena viene tutelato dall’Istituto.
La tutela copre l’intero periodo di quarantena e quello eventualmente successivo, dovuto a prolungamento di malattia che determini una inabilità temporanea assoluta al lavoro.
In tutti gli altri casi, stante quanto previsto dal dpcm del 4 marzo 2020, il periodo di sorveglianza sanitaria con isolamento fiduciario è di competenza Inps.
In Piemonte l’Inail ha già riconosciuto il primo caso di infortunio mortale per infezione da Covid contratta sul lavoro.
Riguarda un operatore sanitario di un ospedale di Torino, ricoverato in terapia intensiva e deceduto alla fine di marzo. A lui è stata riconosciuta l’origine professionale della malattia, considerata «l’elevatissima probabilità che questa tipologia di lavoratori venga a contatto con il virus».
Nei confronti dei familiari è stata costituita la rendita ai superstiti, che prevede un’erogazione economica che decorre dal giorno successivo alla morte del lavoratore, e a seguire, sempre da parte dell’Istituto, l’assegno per le spese funerarie.
Sarà devoluta ai familiari anche la prestazione economica una tantum prevista dal Fondo delle vittime di gravi infortuni sul lavoro, di cui possono beneficiare anche i lavoratori non assicurati con Inail
Da quanto sopra esposto e chiarito dall’INAIL, risulta quindi evidente che la responsabilità va quindi a gravare sugli imprenditori e il riconoscimento del coronavirus come infortunio sul lavoro favorisce possibili azioni, procedimenti, e richieste di risarcimento del danno in capo ai datori di lavoro.
Il riconoscimento di infortunio sul lavoro non costituisce di per sé riconoscimento di responsabilità penale, ma un rischio astratto potrebbe esserci.
Bisognerà vedere se il lavoratore può provare di aver contratto il Covid mentre svolgeva attività lavorativa
Ricostruire il momento e il luogo esatto dell’infezione da coronavirus sarà infatti molto difficile. Sul sito del ministero della Salute si legge che “il periodo di tempo che intercorre fra il contagio e lo sviluppo dei sintomi clinici varia fra 2 e 11 giorni, fino ad un massimo di 14 giorni”. Inoltre, i sintomi sono molteplici e spesso simili a quelli di un semplice raffreddore, mentre in molti casi possono persino non presentarsi. Per di più, nell’ultimo periodo gli esperti hanno spiegato che ora i contagi avvengono soprattutto tra le mura domestiche, in famiglia.
Non sarà quindi semplice dimostrare che un lavoratore si è ammalato sul posto di lavoro.
Bisogna infatti accertare se in tema della ripartizione dell’onere probatorio è il lavoratore che deve provare che il datore è venuto meno a norme di tutela della sicurezza o deve essere il datore a dimostrare di non aver mancato nei propri obblighi?
Nel caso del coronavirus la questione si fa molto più complicata: se un lavoratore contrae il Covid a oltre due settimane dall’ultima volta che è andato al lavoro, c’è una forte presunzione che il virus sia stato preso fuori dagli ambienti lavorativi; se invece un dipendente ha continuato a svolgere le sue mansioni, è più facile che dica di aver contratto il virus sul luogo di lavoro. E a questo punto sarà il datore che dovrà provare a discolparsi e dimostrare che il Covid non è stato recepito nell’esercizio dell’attività lavorativa. Basterebbe però che anche un altro dipendente abbia contratto il virus per creare una sorta di presunzione di responsabilità del datore.
Avv. Marcello Maria BOSSI