Con la sentenza dell’11.05.2012, n. 7256 la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi della questione relativa al risarcimento del danno da vacanza rovinata ed ha richiamato i precedenti giurisprudenziali intervenuti in materia. In particolare la Suprema Corte ha evidenziato che già nel 2010 era stata affermata la legittimità del danno non patrimoniale da vacanza rovinata ed il fondamento era stato “non nella generale previsione dell’art. 2 Cost., ma proprio nella cosiddetta vacanza rovinata (come legislativamente disciplinata)” mentre con la sentenza n. 4372 del 2012 la risarcibilità di tale danno era stata riconosciuta in quanto prevista dalla legge, oltre che costantemente predicata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea. La legislazione di settore concernente i “pacchetti turistici” (emanata in attuazione della normativa comunitaria di tutela del consumatore), nell’ambito dell’obiettivo dell’avvicinamento delle legislazioni degli Stati membri della Comunità Europea, come interpretata dalla Corte di Giustizia CE, ha reso rilevante l’interesse del turista al pieno godimento del viaggio organizzato, come occasione di piacere o riposo, prevedendo il risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali (disagio psicofisico che si accompagna alla mancata realizzazione in tutto o in parte della vacanza programmata) subiti per effetto dell’inadempimento contrattuale. Come ricorda la sentenza in discussione, la Corte di Giustizia, già nel 2002 (sentenza 12 marzo 2002, n. 168), pronunciandosi in via pregiudiziale sull’interpretazione dell’art. 5 della direttiva n. 90/314/CEE, aveva affermato che il suddetto articolo dovesse essere interpretato nel senso che “in linea di principio il consumatore ha diritto al risarcimento del danno morale derivante dall’inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni fornite in occasione di un viaggio tutto compreso“, mettendo in evidenza che “nel settore dei viaggi turistici si segnalano spesso “danni diversi da quelli corporali”, “al di là dell’indennizzo delle sofferenze fisiche” e che “tutti gli ordinamenti giuridici moderni (riconoscono)..un’importanza sempre maggiore alle vacanze“.
Sulla scorta di tale intendimento, la dottrina e la giurisprudenza di merito, hanno ritenuto che le previsioni generiche contenute nel D.Lgs. n. 111 del 1995 (artt. 13 e 14) comprendessero anche il danno non patrimoniale. Il Codice del turismo, introdotto nel nostro ordinamento con il D.Lgs. 23 maggio 2011, n. 79, emanato in attuazione della direttiva 2008/122/CE, prevede, peraltro, espressamente con l’art. 47 l’ipotesi del danno da vacanza rovinata per il caso di inadempimento o inesatta esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico. Qualora, infatti, l’inadempimento “non sia di scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 c.c.”, il turista potrà chiedere, oltre e indipendentemente dalla risoluzione del contratto, un risarcimento del danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all’irripetibilità dell’occasione perduta. La necessità della gravità della lesione dell’interesse e il superamento di una soglia minima di tollerabilità trovano fondamento, nel caso della vacanza contrattualmente pattuita, nella sempre più accentuata valorizzazione della regola di correttezza e buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, che deve informare il contratto in ogni sua fase con la conseguenza che ove tale regola dovesse essere disattesa si concreterebbe un abuso del diritto.In mancanza di precisazioni normative, spetta al giudice del merito – salvo il controllo di legittimità in ordine alla logicità della motivazione – individuare il superamento o meno di tale soglia, avuto riguardo alla causa in concreto – costituita dalla “finalità turistica” che qualifica il contratto “determinando l’essenzialità di tutte le attività e dei servizi strumentali alla realizzazione del preminente scopo vacanziero” e considerando l’autonoma valutabilità dell’interesse allo svago e riposo rispetto al danno patrimoniale subito, atteso che il primo, a seconda del peso della prestazione contrattuale non adempiuta, può ben superare il secondo e non può appiattirsi su questo.Infine la Suprema Corte con la sentenza in discussione fornisce un chiarimento anche in merito alla allegazione e prova del danno non patrimoniale da vacanza rovinata.In particolare la Corte di Cassazione stabilisce che, provato l’inadempimento del contratto di pacchetto turistico e allegato di avere subito un danno non patrimoniale da vacanza rovinata in senso stretto – come disagio psicofisico che si accompagna alla mancata realizzazione in tutto o in parte della vacanza programmata, con l’esclusione, quindi, di danni psicofisici e/o alla vita di relazione – non occorre fornire ulteriori prove per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale.A tale assunto la Suprema Corte giunge applicando i principi generali in tema di onere della prova dell’inadempimento contrattuale e in tema di danno-conseguenza del risarcimento, con la peculiarità del contratto di pacchetto turistico, la cui causa è connotata dall’esclusivo perseguimento di interessi non patrimoniali.In particolare la sentenza in oggetto giunge a tale conclusione sulla base del seguente sillogisma giuridico:
– se, quando il danno non patrimoniale scaturisce da inadempimento contrattuale, il risarcimento è regolato dalle norme dettate in materia, e quindi, dagli artt. 1218, 1223 e 1225 c.c., e valgono le specifiche regole del settore circa l’onere della prova;
– se il creditore, sia che agisca per l’adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento del danno, deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, mentre può limitarsi ad allegare l’inadempimento della controparte e sarà il debitore convenuto a dover fornire la prova del fatto estintivo del diritto, costituito dall’avvenuto adempimento;
– se, nell’ipotesi di inesatto adempimento grava sempre sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento;
– se il danno-conseguenza deve essere allegato e provato e, per i pregiudizi non patrimoniali attinenti a un bene immateriale, la prova presuntiva è destinata ad assumere particolare rilievo e potrà costituire anche l’unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, a condizione che il danneggiato alleghi tutti gli elementi idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto,
in tema di danno non patrimoniale “da vacanza rovinata”, inteso come disagio psicofisico conseguente alla mancata realizzazione in tutto o in parte della vacanza programmata, la raggiunta prova dell’inadempimento esaurisce in sé la prova anche del verificarsi del danno, atteso che gli stati psichici interiori dell’attore, per un verso, non possono formare oggetto di prova diretta e, per altro verso, sono desumibili dalla mancata realizzazione della “finalità turistica” (che qualifica il contratto) e dalla concreta regolamentazione contrattuale delle diverse attività e dei diversi servizi, in ragione della loro essenzialità alla realizzazione dello scopo vacanziero.