In materia di contratti di affitto di fondi rustici, la disciplina codicistica, contenuta principalmente negli artt. 1615 – 1654 c.c., è stata modificata e sostituita in larga parte da numerose leggi speciali, prima fra tutte per importanza la Legge 3 maggio 1982 n. 203, la quale ha sancito la scomparsa dei precedenti contratti associativi, quali la mezzadría e la colonía parziaria, in favore del contratto di affitto agrario. Il contratto di affitto di fondi rustici, che costituisce il prototipo dei contratti agrari di concessione in godimento, è un contratto con il quale una parte, detta concedente, si obbliga a far godere all’altra parte, detta affittuaria, un determinato terreno, per un dato periodo e per un dato corrispettivo, ai fini dello svolgimento di un’attività agricola.
Mediante il contratto di affitto agrario il concedente attribuisce, dunque, all’affittuario non un mero diritto di godimento sul bene, bensì il potere di organizzare e gestire un complesso produttivo. Ai sensi dell’art. 21, I comma, della Legge 03 maggio 1982 n. 203, sono vietati i contratti di subaffitto, sublocazione e, comunque, di subconcessione dei fondi rustici. Risulta evidente come la formulazione della norma consenta un’ampia interpretazione delle tipologie contrattuali rientranti nel divieto, inducendo a ricomprendere nelle categorie vietate qualsiasi tipo di contratto, tipico o atipico, che realizzi il subentro di un soggetto terzo, diverso dall’affittuario, nella conduzione dei fondi perché eserciti in nome proprio e nel proprio interesse l’impresa di coltivazione.
La finalità di tale disposizione normativa è duplice: da un lato quella di tutelare gli interessi del lavoratore effettivo della terra, impedendo all’affittuario ogni intermediazione nella conduzione del fondo, al fine di assicurare che l’attività agricola sia esercitata dall’affittuario medesimo, dall’altro lato quella di sanzionare il comportamento inerte tenuto dal concedente del fondo, attribuendo, nel contempo stabilità e chiarezza ai rapporti agrari.
Ai fini dell’operatività dell’art. 21 L. 203/1982 a nulla rileva, pertanto, l’eventuale invalidità del contratto di subaffitto, essendo solo necessario che vi sia stata una cessione del godimento del fondo da parte dell’affittuario ad un soggetto terzo affinché coltivi ed utilizzi il fondo nel proprio interesse. Il contratto che deve essere valido e che, dunque, deve presentare i requisiti di cui all’art. 1325 c.c. è unicamente il contratto di affitto originario stipulato tra il concedente del fondo e l’affittuario, in quanto è lo stesso che regola i rapporti tra il locatore ed il subaffittuario, per effetto del subentro ex lege di quest’ultimo nella posizione giuridica dell’affittuario.
L’art. 21, II comma, della predetta legge stabilisce, infatti, che, qualora il locatore del fondo non faccia valere la violazione del divieto, o non la faccia valere nel termine di quattro mesi dalla data in cui ne è venuto a conoscenza, il terzo subaffittuario subentra nella posizione giuridica dell’affittuario automaticamente, ope legis, e non in conseguenza di un negozio traslativo. Nella circostanza in cui, invece, il concedente faccia valere tempestivamente i propri diritti, il meccanismo del subentro del subaffittuario nel contratto tra il locatore e l’affittuario è limitato a tre annate agrarie, decorrenti dall’annata agraria in corso alla data della proposizione della domanda.
Nell’ipotesi di violazione del divieto di subaffitto del fondo rustico, l’art. 21 della L. 203/1982 accorda al concedente del fondo due azioni distinte ed autonome, una diretta alla dichiarazione di nullità del subaffitto, con conseguente richiesta di restituzione del fondo, da esperirsi nei confronti del subaffittuario, l’altra, da esercitarsi nei confronti del solo affittuario, di risoluzione del contratto di affitto per inadempimento.
Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, soltanto l’azione per la declaratoria di nullità del contratto di subaffitto e per la condanna alla restituzione del fondo era soggetta al termine di decadenza di quattro mesi previsto dall’art. 21 della L. 203/1982, mentre l’azione di risoluzione del contratto di affitto non era soggetta a tale termine di decadenza, ma doveva essere preceduta dalla contestazione di cui all’art. 5, III comma, della predetta legge seguita dalla concessione di un termine di tre mesi per la sanatoria dell’inadempimento (Cass. Civ. 28.10.1988, n. 5846).A tale indirizzo si è contrapposto un secondo orientamento giurisprudenziale, che ha affermato che, non essendo ipotizzabile una duplicità di azioni in favore del locatore, deve ritenersi che allo stesso sia accordata un’unica azione (Cass. Civ. 16.04.1992, n. 4693).
Il locatore del fondo, infatti, deducendo la violazione del divieto di subaffitto, può proporre nei confronti dell’affittuario domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, con conseguente domanda di condanna al rilascio del fondo, atteso che la risoluzione del contratto di affitto comporta l’estinzione anche del contratto di subaffitto.Tale contrasto è stato risolto da una pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte che ha sostenuto che l’azione di risoluzione del contratto di affitto prevista dall’art. 21, II comma, L. 203/1982, pur essendo la stessa azione già indicata nell’art. 5 della medesima legge (che tipizza le inadempienze più rilevanti ai fini della dichiarazione di risoluzione del contratto di affitto, comprendendovi anche la stipulazione di un contratto di subaffitto), è regolamentata da una disciplina speciale, che è appunto quella stabilita nell’art. 21,II comma, che prevale su quella generale stabilita dall’art. 5 (Cass. Civ., S.U., 13.11.1997, n. 11218).
Secondo la Corte di Cassazione entrambe le azioni accordate al locatore del fondo rustico sono disciplinate dall’art. 21 L. 203/1982, per cui, dunque, anche la domanda di risoluzione del contratto di affitto è soggetta al termine di decadenza di quattro mesi, ma non all’onere della preventiva contestazione di cui al secondo comma dell’art. 5 della medesima legge. La necessità della suddetta preventiva contestazione è stata esclusa dai Giudici di Legittimità sulla base del fatto che per l’affittuario risulta impossibile sanare l’inadempimento, in quanto il subaffittuario potrebbe già essere subentrato ex lege nell’originario rapporto di affitto o, quantomeno, potrebbe avere esercitato il diritto al subentro per il periodo ridotto di cui all’ultimo comma dell’art. 21.
Il principio giuridico testè esposto è stato confermato anche da una recente pronuncia della Corte di Cassazione, che ha ribadito che sia l’azione diretta alla dichiarazione di nullità del contratto di subaffitto sia l’azione di risoluzione del contratto di affitto devono essere proposte dal concedente entro il termine di decadenza di quattro mesi previsto dall’art. 21, II comma, e devono essere precedute, in forza della regola generale stabilita dall’art. 46, dal preventivo tentativo di conciliazione davanti all’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura competente per territorio (Cass. Civ. 12.10.2010, n. 21018). La Suprema Corte ha infine ribadito che l’esperimento del tentativo di conciliazione presso l’IPA, ai sensi dell’art. 46, integra sempliciemente una condizione di proponibilità dell’azione e, pertanto, non è sufficiente ad evitare la decadenza dalle azioni accordate al locatore del fondo per il decorso del termine quadrimestrale, essendo invece necessaria la proposizione delle azioni giudiziali.