La più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione appare unanime nel ritenere che, nel sistema del lavoro pubblico contrattualizzato, al bando di concorso per l’assunzione, diretto a dare attuazione alla decisione (di per s’è non impegnativa nei confronti dei terzi) di far fronte al fabbisogno attuale di personale dipendente, vada riconosciuta duplice natura giuridica: di provvedimento amministrativo nella parte in cui concreta un atto del procedimento di evidenza pubblica, del quale regola il successivo svolgimento; di atto negoziale negli aspetti sostanziali, in quanto concreta proposta al pubblico, condizionata negli effetti all’espletamento del procedimento concorsuale e all’approvazione della graduatoria.
E’ da ritenenrsi che anche l’approvazione della graduatoria presenti questa duplicità di natura giuridica: provvedimento terminale del procedimento concorsuale e atto negoziale di individuazione del futuro contraente. Dall’approvazione della graduatoria discende, quindi, il diritto all’assunzione del partecipante collocato in posizione utile della graduatoria, cui corrisponde l’obbligo di adempimento dell’amministrazione assoggettato al regime di cui all’art 1218 c.c. anche con riferimento al diritto al risarcimento in caso di inadempimento(in tal senso si vedano Cass. S.U. 16 aprile 2007, n. 8951; Cass. 20 gennaio 2009, n. 1399; Cass. S.U. 4 novembre 2009, n. 23327).
Considerata come provvedimento amministrativo deve escludersi, peraltro, che l’approvazione della graduatoria possa porsi in contraddizione con la delibera di indizione e con il bando (lex specialis del concorso), negando addirittura l’interesse pubblico primario perseguito con l’apertura del procedimento e trasformando il concorso indetto per la copertura di determinati posti in mera verifica di idoneità professionale di personale da assumere solo in relazione a fabbisogni futuri e incerti.
Il potere di approvare la graduatoria, infatti, è conferito all’amministrazione dal bando esclusivamente in funzione del controllo della regolarità e della verifica dell’esito della procedura e, diversamente argomentando, l’Amministrazione opererebbe con un difetto assoluto del potere di eliminare sostanzialmente gli effetti tipici del bando e del procedimento, configurando la figura processuale della carenza di potere accolta dal legislatore nell’attuale formulazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 – septies, comma 1.
Ancora precisato che, valutato il profilo della natura negoziale dell’atto con il quale la graduatoria è approvata, la Suprema Corte ha costantemente ritenuto che la clausola di riserva all’amministrazione della facoltà di non procedere all’assunzione andrebbe comunque dichiarata nulla ai sensi dell’art. 1355 c.c. (essendo da considerarsi condizione meramente potestativa siccome subordinerebbe l’obbligo di assunzione alla mera volontà dell’amministrazione medesima), il potere di revoca resta attribuito dalla legge esclusivamene per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (L. n. 241 del 1990, art. 2 – quinquies), in ogni caso da negarsi la possibilità di una revoca implicita della delibera di indizione del concorso.
La Corte di Cassazione ha, infatti, negato in radice che possa efficacemente esercitarsi il potere di revoca, con eliminazione, sia pure ex nunc, del diritto soggettivo costituito dal provvedimento revocato, mediante un atto implicito in altri e senza i requisiti minimi di forma prescritti dalla legge, da tempo risalente peraltro costituendo ius receptum il principio secondo cui, quando non sia soltanto viziata, ma manchi del tutto la forma prevista dalla legge per il provvedimento, non è riconoscibile in concreto l’esercizio di potere autoritativo (si veda, di recente, Cass. S.u. 13659/2006).