La fideiussione cd. “omnibus” è una garanzia personale che, se stipulata, impone al fideiussore il pagamento di tutti i debiti, presenti e futuri, che il debitore principale ha assunto o assumerà nei confronti del creditore (nella prassi spesso un istituto di credito) in dipendenza di qualsiasi operazione.
La fideiussione omnibus, quindi, si differenzia rispetto alla fideiussione ordinaria per il fatto che la garanzia non è limitata a un certo debito (ad esempio a uno specifico prestito ricevuto dall’istituto di credito) ma garantisce il pagamento di tutti i debiti assunti o che si assumeranno con la banca, per qualsiasi operazione bancaria, presente o futura.
La fideiussione omnibus – proprio per l’aleatorietà che la caratterizza – è stata coniata sulla falsariga della fideiussione per obbligazioni future, di cui agli artt. 1938 e 1956 codice civile, e non figura espressamente tra le garanzie personali tipiche del nostro ordinamento giuridico.
Tale fattispecie è stata al centro di un acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale, negli anni ’70 e ’80, in ordine alla sua stessa ammissibilità, essendo sorto il dubbio che questa tipologia di garanzia potesse porsi in contrasto con l’esigenza che qualsiasi contratto deve sempre avere un oggetto determinato o comunque determinabile, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1346 e 1418 c.c..
A porre fine alla vexata quaestio è intervenuto il Legislatore che, con la L. n. 154 del ’92 – sulla trasparenza delle operazioni bancarie – ha modificato il testo dell’art. 1938 del c.c., imponendo per le fideiussioni prestate a garanzia di obbligazioni future, la fissazione di un importo massimo garantito, all’evidente fine di limitare quantitativamente l’impegno assunto dal fideiussore.
Essendo riconducibili a tale norma imperativa del codice anche le fideiussioni omnibus, deve concludersi che esse siano valide solo se le parti pattuiscano il tetto massimo entro il quale la garanzia può e deve operare. Diversamente, in assenza di apposita dichiarazione espressa del garante, la fideiussione deve ritenersi nulla.
La giurisprudenza di fine anni ’90, tuttavia, non ha ritenuto propriamente risolto il problema della indeterminabilità dell’oggetto in questa particolare tipologia di fideiussione, né lo strapotere delle banche del tutto arginato. Sono così intervenute alcune pronunce dei giudici di merito che hanno per esempio evidenziato la necessità di quantomeno individuare nel contratto di fideiussione omnibus il tipo di obbligazioni che – nei limiti dell’importo predeterminato – il fideiussore si obbliga a garantire (Trib. Savona, 11.3.1999). Secondo altri esponenti, il massimale della fideiussione dovrebbe essere concretamente concordato tra istituto bancario e garante in proporzione alla normale e prevedibile attività del debitore ed alle sue potenzialità economiche, nonché in conformità ai principi di buona fede e correttezza (in tal senso l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, parere 20.4.2005 n. 14251). Sulla scia di tale orientamento, i giudici di legittimità, hanno infatti ritenuto che “la rispondenza dei contratti di fideiussione c.d. omnibus alla prescrizione normativa (e dunque la legittimità’ della garanzia) debba, in effetti, essere accuratamente valutata nel merito, per verificare ed accertare che la indicazione di un importo limite sproporzionatamente elevato non si traduca, nella sostanza, in una limitazione solo apparente e, dunque, nella sostanziale elusione della norma” (Cass. Civ. 12.11.2008 n. 27005).
Verifica che, nella pratica, si concretizza nel rispetto, da ambedue le parti contrattuali – fideiussore e creditore – dei principi di correttezza e buona fede che ispirano l’intero sistema di diritto positivo.
Nell’ambito delle fideiussioni omnibus, la banca ha peraltro un particolare onere di controllo della situazione finanziaria del debitore, non potendo, nell’accordare la fideiussione, limitarsi a fare affidamento esclusivamente sul patrimonio del garante, a fronte della manifesta incapienza del patrimonio dell’obbligato principale. La Cassazione ha, infatti, affermato che “l’istituto di credito, ancorché garantito da fideiussione, ha il dovere di comportarsi nei confronti del debitore principale secondo i criteri di una sana gestione del credito e che si ha un comportamento contrario alla buona fede (oggettiva) – sanzionato con l’inefficacia della garanzia fideiussoria – se, nonostante la prevedibile inadempienza del debitore, il creditore decide di procedere all’operazione fidando soltanto nella responsabilità del fideiussore ” (Cass. civ., 1.7. 1998, n. 6414).
Naturalmente, il grado di diligenza richiesto alla banca, nella valutazione delle condizioni economiche del debitore, è particolarmente rigoroso in considerazione della professionalità che è legittimo pretendere da chi gestisce la raccolta del risparmio e l’esercizio del credito. Il garante, invece, qualificato come “soggetto debole”, può invocare una tutela giuridica nel caso in cui la banca adotti, in un momento successivo alla stipula della fideiussione, una condotta negligente/fraudolente a suo danno.
Il codice civile, infatti, all’art. 1956, prevede un particolare rimedio “sanzionatorio” – consistente nella liberazione del fideiussore dal vincolo di garanzia – quando le banca continui, senza speciale autorizzazione del fideiussore, a “far credito” al debitore, pur essendo a conoscenza delle condizioni patrimoniali di quest’ultimo tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito da parte del garante. Perché esso operi occorre, da un lato, la condotta materiale della banca che faccia credito al debitore – l’elemento oggettivo – concedendogli cioè ulteriori finanziamenti o, semplicemente, mantenendo in essere il credito già concesso; dall’altra, la consapevolezza – l’elemento soggettivo – della banca che le condizioni economiche del suo obbligato principale sono mutate rispetto all’epoca della prestazione della garanzia.
Ulteriore corollario del principio di correttezza e buona fede è, infine, l’onere di verifica, da parte dell’istituto di credito, delle condizioni economiche del fideiussore. Tale principio, ormai assodato in ambito dottrinale, trova la propria ratio alla luce del fatto che ex art. 1936 c.c., il contratto di fideiussione interviene tra il fideiussore e il creditore, mentre il debitore, salvo diverse intese tra le parti, resta ad esso estraneo. Del tutto illogico sarebbe, dunque, per la banca accordare al garante una fideiussione “a scatola chiusa” senza una previa verifica delle potenzialità finanziarie del suo interlocutore.
Per liberarsi da una fideiussione omnibus, il fideiussore può inviare una raccomandata di recesso alla banca, con il preavviso di norma indicato nel contratto.
A questo punto, la banca deciderà se continuare o cessare il rapporto creditizio con il debitore principale, valutandone le condizioni di affidabilità “personali”.
Bisogna in ogni caso considerare che non è possibile liberarsi pienamente di tutti gli impegni, in quanto il garante di norma continua a essere obbligato per il debito sussistente al momento in cui ha esercitato il recesso.
Da ultimo, risulta utile segnalare che per la stipula di una fideiussione omnibus, l’ABI – Associazione Bancaria Italiana, ha predisposto con alcune associazioni di consumatori, un testo di schema contrattuale uniforme, denominato “Fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus)”.
L’equivoco scaturito dalla sentenza della Cassazione 29810/2017 ha aperto un nuovo scenario nel contenzioso tra banche e fideiussori. Nell’attesa di un nuovo intervento della Suprema Corte che prenda definitivamente posizione sulle fideiussioni conformi allo schema ABI, la giurisprudenza di merito ha adottato orientamenti abbastanza uniformi in tema di validità dei contratti di fideiussione.
Quando si parla di fideiussione omnibus conforme al modello ABI non si può che pensare alla sentenza della Cassazione n. 29810 del 12.12.2017, che ha aperto uno scenario nuovo nel contenzioso che vede contrapposti banche da una parte e clienti fideiussori dall’altra.
Fino a quella sentenza, infatti, il “mondo giuridico” si era pressoché scordato del provvedimento di Banca d’Italia n. 55 del 2 maggio 2005, reso in esercizio della funzione di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi che, a far tempo dal 12 gennaio 2006, è stata trasferita all’AGCM in forza della Legge 262/2005.
Con quel provvedimento (ancora oggi impropriamente scambiato da qualche Tribunale per “parere”), emesso ad esito di un’istruttoria avviata sullo schema contrattuale di fideiussione omnibus trasmesso dall’Associazione Bancaria Italiana, è stato disposto che gli articoli 2 (c.d. clausola “di reviviscenza”), 6 (rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c.) e 8 (c.d. clausola di “sopravvivenza”) dello schema ABI “contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90”.
A distanza di più di 10 anni, si può dire che le Banche italiane non sembrano aver tenuto conto della portata del provvedimento, considerato che pressoché tutti i contratti di fideiussione sul mercato sono perfettamente conformi allo schema ABI, incluse le tre clausole censurate. Ma ciò, fino a dicembre 2017, non ha suscitato scalpore.
All’indomani della pronuncia della Cassazione n. 29810/2017, i siti di informazione giuridica, gli avvocati e molti operatori del settore non hanno avuto dubbi nel titolare: “la Cassazione ha dichiarato che le fideiussioni conformi allo schema ABI sono nulle!”.
Questa lettura è frutto di un evidente malinteso – o di una lettura superficiale – forse dovuta a qualche obiter dictum della sentenza non particolarmente felice, se solo si considera che la massima è la seguente: “in tema di accertamento dell’esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dalla L. n. 287 del 1990, art. 2, la stipulazione «a valle» di contratti o negozi che costituiscano l’applicazione di quelle intese illecite concluse «a monte» (nella specie: relative alle norme bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative) comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all’accertamento dell’intesa da parte dell’Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato (nella specie, per quello bancario, la Banca d’Italia, con le funzioni di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi, ai sensi della L. n. 287 del 1990, artt. 14 e 20, (in vigore fino al trasferimento dei poteri all’AGCM, con la L. n. 262 del 2005, a far data dal 12 gennaio 2016) a condizione che quell’intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza”.
Benché, quindi, la Cassazione non fosse entrata nel merito dell’eccezione di nullità, ponendo piuttosto l’attenzione sul profilo temporale di “consumazione dell’intesa”, la sentenza ha provocato l’avvio di un rilevante contenzioso bancario fondato su eccezioni e domande di nullità delle fideiussioni conformi allo schema ABI.
Il contenzioso massivo legato alla validità delle fideiussioni ABI ha aspetti di curiosità se si considera che, andando anche a ritroso nel tempo, la giurisprudenza (compresa quella che ha esaminato la validità delle fideiussioni ABI prima dell’eco mediatica della Cassazione del 2017) ha, in linea di principio, escluso la nullità integrale dei contratti di fideiussione riproduttivi dello schema ABI, così come ha in linea generale, affermato che l’accertamento di un’intesa lesiva della libera concorrenza, ad opera dell’Autorità Antitrust, non determina «automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere delle imprese aderenti all’intesa, i quali mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento danni nei confronti delle imprese da parte dei clienti» (cfr. per esempio Cass. n. 9384 del 11.06.2003).
Per quanto riguarda nello specifico la tematica delle fideiussioni ABI l’orientamento giurisprudenziale può essere riassunto come segue.
Esclusa qualche isolata, e francamente non condivisibile, pronuncia (per esempio, Tribunale Siena 14 Maggio 2019) che ha predicato la nullità totale, parte della giurisprudenza ha escluso qualsiasi ripercussione di una intesa illecita “a monte” sulla validità del contratto “a valle” che ne costituisce attuazione (in questo senso Tribunale Alba, 12.01.1995; Tribunale Torino, 16.10.1997; C.A. Torino, 27.10.1998; Tribunale Milano, 25.05.2000; Tribunale Treviso del 6.10.2016 e n. 20490 del 30 Luglio 2018).
Tuttavia, la parte assolutamente maggioritaria pare aver optato per la tesi della nullità relativa, che si estenderebbe alle sole tre clausole censurate da Banca d’Italia (Tribunale di Ravenna n. 603 del 08.06.2019 e n. 336 del 29.03.2019; Tribunale di Milano, n. 8893/16, dott.ssa Dal Moro; Tribunale di Roma, 12 settembre 1997, n. 4071; Tribunale di Padova, 29 gennaio 2019; Corte d’Appello Brescia 29 gennaio 2019; Tribunale Benevento 25 Maggio 2019).
È evidente che il contenzioso dilagante, in un simile quadro d’incertezza, suggerisce la necessità di un nuovo intervento della Suprema Corte affinché venga definitivamente chiarita la sorte dei contratti di fideiussione riproduttivi dello schema ABI; chiarimento che non è stato fornito dall’ulteriore intervento della Cassazione (sentenza 22.5.2019, n. 13846) benché, anche questa volta gli operatori del settore sono tornati a commentare: “La Cassazione ribadisce la nullità delle fideiussioni omnibus redatte su schema ABI”.
Un primo passo significativo nell’ottica del superamento dell’equivoco generato dalla sentenza del 2017 è rappresentato dalla recentissima sentenza della Cassazione n. 24044 del 26 settembre 2019, la quale, avallando sostanzialmente la giurisprudenza di merito maggioritaria, ha affermato, questa volta in maniera chiara e netta, che le fideiussioni conformi allo schema ABI sono affette da una nullità solo parziale limitata alle tre clausole censurate da Banca d’Italia.
Si tratta di un chiarimento importante in attesa della parola definitiva sulla questione.
Avv. Marcello Maria BOSSI
Avv. Gaia BONAZZOLI