Con una recente pronuncia la Corte di Cassazione è tornata ad affrontare il tema dei contratti di affitto agrari in deroga alle disposizioni della Legge n. 203/1982.
Com’è noto la citata legge contiene norme che disciplinano i contratti di affitto agrari dettando regole precise in merito a durata del contratto, fissata in anni 15 con tacito rinnovo salvo disdetta da inviarsi un anno prima della scadenza, recesso, diritto esercitabile dal solo affittuario in qualsiasi momento con preavviso da comunicarsi alla proprietà almeno un anno prima della scadenza dell’annata agraria in corso, risoluzione per grave inadempimento del conduttore, previa contestazione scritta da parte della proprietà, e continuità del contratto in caso di morte dell’affittuario.
In generale si tratta di un complesso di norme che tutelano la parte più debole del rapporto contrattuale, ossia l’affittuario, e che puntano a garantire stabilità alle posizioni fondate sul lavoro piuttosto che a quelle basate sul diritto di proprietà.
Proprio per questo motivo il legislatore ha definito le disposizioni della Legge n. 203/1982 come norme inderogabili. Tale inderogabilità, sancita dall’art. 58, comporta che qualora il contratto di affitto agrario contenga clausole difformi, non si determina la nullità dell’intero negozio bensì l’automatica sostituzione, ai sensi dell’art. 1339 Codice Civile, delle clausole pattuite dalle parti in difformità dal modello legale con quelle legislativamente previste, ferma restando l’esistenza e validità del contratto di affitto ex art. 1419, comma 2, Codice Civile (Cass. Civ. ord. 25.01.2018, n. 1827).
L’inderogabilità prevista dall’art. 58, tuttavia, non è assoluta.
L’art. 45 della medesima Legge, infatti, ammette la possibilità che nella contrattazione le parti possano pattuire delle deroghe a condizione che, al momento della sottoscrizione, il contratto sia stato stipulato con l’assistenza delle rispettive organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, intesa come effettiva attività di consulenza e d’indirizzo che chiarisca alle parti il contenuto e lo scopo delle singole clausole contrattuali che si discostano dalle disposizioni di legge affinché la stipulazione avvenga con la massima consapevolezza e trasparenza possibile.
L’interpretazione di questa norma, in passato, ha portato la giurisprudenza ha pronunciarsi in modo contrastante con sentenze che, da una parte, postulavano la totale nullità del contratto in deroga nel caso di mancata partecipazione di entrambi i rappresentanti sindacali di proprietà ed affittuario (Cass. Civ. 29.09.2016, n. 19260; Cass. Civ. 26.03.2009, n. 7351) e, dall’altra, sostenevano che l’eventuale nullità del contratto potesse essere fatta valere solamente dalla parte rimasta senza assistenza (Cass. Civ. ord. 02.08.2016 n. 16105; Cass. Civ. 15.05.2013, n. 11763).
A riprova dell’interesse sulla questione in esame, di recente la Suprema Corte ha preso posizione rispetto ai due orientamenti sopra richiamati e con l’ordinanza 07.05.2019, n. 11893 ha affermato che ai fini della validità del contratto è sufficiente, al momento della stipula, che soltanto gli affittuari e non anche i proprietari siano stati assistiti da un rappresentante dell’organizzazione professionale cui aderiscono, tenuto conto che la nullità ex art. 45 della Legge n. 203/1982 può essere fatta valere soltanto dalla parte interessata, che non sia stata assistita, trattandosi di una nullità di protezione.
Da quanto sopra si trae la conclusione che, ferma restando l’intangibilità del contratto qualora sottoscritto con l’assistenza sindacale di entrambe le parti, l’eventuale sottoscrizione delle parti e dal solo sindacato rappresentativo dell’affittuario rende il contratto pienamente valido. La mancata assistenza sindacale del proprietario non può essere impugnata dall’affittuario ma solamente dal proprietario medesimo qualora ne abbia interesse.
Avv. Marcello Maria BOSSI
Avv. Francesca PELLE