Com’è noto, in considerazione della allora contingente necessità di una razionalizzazione e risparmio di spesa delle amministrazioni pubbliche richiamata per il settore scolastico all’art. 8, comma 14, del d. l. n. 78/2010 il legislatore prevedeva (in un contesto ritenuto “eccezionale” dalla stessa norma) al successivo art. 9, comma 23, del decreto stesso che per il personale docente, Amministrativo, Tecnico ed Ausiliario (A.T.A.) della Scuola, gli anni 2010, 2011 e 2012 non fossero “utili ai fini della maturazione delle posizioni stipendiali e dei relativi incrementi economici previsti dalle disposizioni contrattuali vigenti”.
Tale previsione veniva estesa anche all’anno 2013 dall’art. 1, comma 1 lettera b) del D.P.R. n. 122/2013.
Preso atto delle indicazioni legislative e del rinvio alle sessioni negoziali che avrebbero dovuto integrare le previsioni normative, con decreto ministeriale n. 3 del 14.01.2011 il Ministro dell’Istruzione, di concerto con quello dell’Economia e delle Finanze, successivamente prevedeva il recupero dell’utilità dell’anno 2010 ai fini della maturazione delle posizioni di carriera e stipendiali e dei relativi incrementi economici del personale docente, educativo ed ATA e le Parti Sociali, stipulando i CCNL del 13.03.2011 e del 07.08.2014, sostanzialmente “neutralizzavano” il blocco giuridico ed economico dello scorrimento anche con riferimento agli anni 2011 e 2012, individuando le risorse finanziarie necessarie all’adempimento per gli anni in questione.
Restava, pertanto, escluso da ogni previsione solo l’anno 2013 che nel corso degli anni è mai stato considerato ai fini della carriera del personale della scuola.
Le misure legislative sopra enucleate sono state oggetto di vaglio da parte della Corte Costituzionale ripetute volte, trovando sempre sostanziale giustificazione nell’esigenza di assicurare la coerente attuazione della finalità di temporanea “cristallizzazione” del trattamento economico dei dipendenti pubblici per inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica.
Nel ribadire che esigenze di politica economica giustificano interventi che, come quelli in esame, comprimano solo temporaneamente gli effetti retributivi della progressione in carriera sull’assunto che le amministrazioni di volta in volta interessate hanno dovuto fronteggiare scelte organizzative immediate e contingenti, la Consulta ha ravvisato “nel carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato, dei sacrifici richiesti, e nella sussistenza di esigenze di contenimento della spesa pubblica, le condizioni per escludere la irragionevolezza delle misure in questione (sentenze n. 245 del 1997 e n. 299 del 1999, come richiamate anche nella sentenza n. 223 del 2012)”, ritenendo razionale e rispettosa del dettato costituzionale una misura incidente “sulle classi e sugli scatti, poiché le disposizioni censurate non modificano il meccanismo di progressione economica che continua a decorrere, sia pure articolato, di fatto, in un arco temporale maggiore, a seguito dell’esclusione del periodo in cui è previsto il blocco”.
La materia in interesse è stata affrontata anche dalla Corte di Cassazione la quale, nel rispetto della sopra indicata lettura costituzionalmente orientata da dare alle norme in interesse, ha testualmente affermato che “le disposizioni che hanno stabilito il blocco delle posizioni stipendiali e dei relativi incrementi economici previsti dalle norme contrattuali collettive – da individuarsi, più precisamente, nell’art. 1, comma 1, lett. b, del d.P.R. n. 122 del 2013, che estese a tutto il 2013 quanto già stabilito per gli anni 2010, 2011 e 2012 dall’art. 9, comma 23, del d.l. n. 78 del 2010, convertito in legge n. 122 del 2010 – sono disposizioni eccezionali e, in quanto tali, da interpretate in senso letterale (art. 14 disp. prel. c.c.), in stretta aderenza con lo scopo loro assegnato di “Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico” (così la rubrica dell’art. 9 del d.l. n. 78 del 2010)”.
Su tali premesse i giudici di legittimità hanno quindi espresso il pincipio di diritto secondo cui “la progressione in carriera va tenuta distinta dai suoi effetti economici. Il blocco dettato da esigenze di contenimento della spesa pubblica deve riguardare solo gli effetti economici (essendo ciò funzionale e sufficiente al raggiungimento del suo scopo), senza influire negativamente sulla carriera a fini giuridici”, considerando errato il “presupposto che le norme di legge di blocco non riguardino solo gli ” incrementi economici previsti dalle disposizioni contrattuali vigenti” (così l’art. 9, comma 23, del d.l. 78 del 2010, cit.), ma la stessa progressione in carriera, di modo che gli anni di blocco (e, dunque, per quanto ancora interessa, il 2013) non dovrebbero essere considerati nemmeno al diverso fine del riconoscimento giuridico di una superiore fascia stipendiale di inquadramento”.
Una siffatta errata interpretazione, concludono gli ermellini, “estenderebbe la portata normativa delle disposizioni di legge asseritamente violate al di là del significato letterale delle parole usate, il che non è consentito dal carattere eccezionale delle disposizioni di legge (che derogano ai comuni principi di autonomia negoziale delle parti sociali) e nemmeno è richiesto per raggiungere lo scopo che il legislatore si è prefisso emanando quelle disposizioni”
Tale arresto giurisprudenziale consente di ritenere recuperabile, percorrendo la via giudiziale, l’anno 2013 ai fini della ricostruzione di carriera, con possibile aggiornamento della posizione stipendiale e incidenza contributiva per i soggetti coinvolti e se ci fosse interesse il nostro studio può essere contattato, senza alcun impegno, accedendo all’area “Contatti”.
Avv. Luca Angeleri