L’illegittima reiterazione del contratto a tempo determinato nel settore scolastico: il Risarcimento del Danno

Il problema della reiterazione illegittima dei contratti a tempo determinato nel settore scolastico italiano è una questione che affonda le sue radici nelle carenze storiche del sistema legislativo. L’adozione di norme temporanee e soluzioni di compromesso per far fronte alla carenza di personale di ruolo ha portato a un uso improprio di figure contrattuali a termine, come l’“incaricato” e il “supplente”, trasformando questi contratti, nati per rispondere a esigenze temporanee, in una soluzione strutturale.

La legge del 1955 istituì la figura dell’“incaricato” per coprire cattedre vacanti in modo temporaneo, mentre la figura del “supplente” veniva utilizzata per brevi periodi di assenza dei docenti di ruolo. Questo schema si è evoluto negli anni, con l’introduzione di nuove categorie e la progressiva eliminazione di alcune figure, fino alla legge del 1982, che introdusse la distinzione tra supplenze annuali e supplenze brevi. Queste modifiche normative, tuttavia, non risolsero il problema di fondo: la mancanza di un adeguato sistema di assunzioni stabili nel settore scolastico, che costrinse le scuole a fare un uso continuativo dei contratti a termine.

La direttiva europea 1999/70/CE, attraverso l’Accordo Quadro, cercò di imporre limiti stringenti alla reiterazione dei contratti a tempo determinato, con l’obiettivo di prevenire abusi. La clausola 5 dell’Accordo stabilisce che i contratti a termine non devono essere usati in modo sistematico, salvo ragioni obiettive, come esigenze temporanee specifiche. Tuttavia, in Italia, queste disposizioni europee non furono implementate efficacemente, portando a una serie di contenziosi legali culminati nella sentenza Mascolo del 2014.

Con la sentenza Mascolo, la Corte di Giustizia Europea affermò che la normativa italiana violava il diritto europeo, in quanto consentiva il rinnovo indefinito dei contratti a termine per coprire posti vacanti, senza stabilire scadenze certe per l’indizione dei concorsi necessari a coprire tali posti in modo stabile. La Corte sottolineò che tale pratica era in contrasto con il principio secondo cui il contratto a tempo indeterminato deve essere la forma comune di rapporto di lavoro, riservando i contratti a termine a situazioni eccezionali e temporanee.

La sentenza stabilì inoltre che, in caso di abuso nella reiterazione dei contratti a termine, devono essere previste misure sanzionatorie efficaci, come la conversione del contratto a tempo indeterminato o il risarcimento dei danni subiti dal lavoratore. Nel caso italiano, la normativa non solo non prevedeva tali misure, ma richiedeva ai lavoratori di dimostrare di aver perso opportunità lavorative migliori a causa della reiterazione dei contratti a termine, rendendo di fatto difficile ottenere un risarcimento.

Uno dei problemi principali che emerge dalla sentenza è la distinzione tra settore pubblico e privato. La Corte di Giustizia ha affermato che non può esserci una disparità di trattamento tra lavoratori del settore pubblico e privato per quanto riguarda la protezione contro l’abuso dei contratti a termine. Nel caso italiano, invece, i lavoratori del settore pubblico erano esclusi dalla possibilità di ottenere la conversione del contratto a tempo indeterminato, una misura disponibile per i lavoratori del settore privato in caso di abuso. La Corte ha quindi richiamato il principio di equivalenza, secondo cui le norme applicate nel settore pubblico devono essere comparabili a quelle del settore privato.

In conclusione, la problematica della reiterazione dei contratti a termine nel settore scolastico rappresenta una patologia cronica che mina la stabilità del sistema educativo italiano. L’intervento della Corte di Giustizia Europea ha segnato un passo importante verso la tutela dei diritti dei lavoratori, ma restano ancora aperte numerose sfide per garantire un sistema di assunzioni che rispetti pienamente i principi del diritto europeo.

Il sistema di reclutamento a termine introdotto dal d.lgs. n. 124/1999 è stato giudicato incostituzionale, aprendo la strada a significative riforme con la legge n. 107/2015, conosciuta come “Buona Scuola”. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza Mascolo, aveva evidenziato come l’Italia stesse violando delle normative europee per l’abuso dei contratti a tempo determinato nel settore scolastico, soprattutto per il personale docente e amministrativo. La riforma della “Buona Scuola” è stata dunque concepita per evitare ulteriori procedure d’infrazione da parte dell’UE e per sanare una situazione giuridicamente critica.

L’articolo 1 della legge 107/2015 ha previsto un piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato per il personale docente, stabilendo un limite di 36 mesi per i contratti a tempo determinato su posti vacanti, al fine di evitare il rinnovo abusivo di contratti a termine. Questa riforma ha segnato una rivoluzione nel sistema di reclutamento, cercando di sanare l’abuso dei contratti a termine e garantire maggiore stabilità al personale scolastico. Contestualmente, è stato creato un fondo per risarcire i danni subiti dai lavoratori a causa della reiterazione di contratti a termine oltre il limite di 36 mesi.

La Corte Costituzionale ha successivamente dichiarato l’illegittimità costituzionale di parti del d.lgs. n. 124/1999, in particolare nella parte in cui non prevedeva limiti effettivi alla durata dei contratti a termine per coprire posti vacanti. La Corte ha anche riconosciuto che le misure introdotte con la “Buona Scuola” avevano una natura riparatoria e punitiva nei confronti dell’abuso perpetrato dallo Stato, cancellando le conseguenze negative per i lavoratori colpiti. In particolare, la stabilizzazione del personale docente attraverso le assunzioni previste dalla legge n. 107/2015 è stata considerata una soluzione efficace per rispondere ai requisiti stabiliti dall’ordinamento europeo.

Tuttavia, mentre la stabilizzazione del personale docente è stata vista come una misura preventiva e risolutiva, il personale ATA (Amministrativo, Tecnico e Ausiliario) non ha beneficiato di tali misure e ha continuato a essere tutelato principalmente attraverso il risarcimento danni. Questo risarcimento è stato previsto anche per situazioni future di abuso di contratti a termine.

Un altro aspetto cruciale del dibattito giuridico riguarda la prova del danno subito dai lavoratori a causa dell’abuso dei contratti a termine. La Corte di Cassazione ha posto inizialmente dei limiti stringenti alla possibilità dei lavoratori di ottenere un risarcimento, ma negli anni successivi ha riconsiderato la questione. Nel 2020, la Cassazione ha chiarito che la stabilizzazione del personale attraverso percorsi riservati, come quelli previsti dalla “Buona Scuola”, rappresenta una misura riparatoria efficace solo se vi è un chiaro rapporto di causa-effetto tra l’abuso del contratto a termine e l’assunzione a tempo indeterminato.

In particolare, la giurisprudenza ha sottolineato che l’immissione in ruolo tramite concorsi ordinari non è da considerarsi una misura riparatoria per l’abuso del contratto a termine, poiché l’assunzione è legata al merito e non all’abuso subito. Di conseguenza, i lavoratori che passano attraverso procedure concorsuali possono comunque rivendicare il diritto al risarcimento per il danno subito a causa dell’abuso dei contratti a termine, anche se successivamente assunti a tempo indeterminato.

Il legislatore è nuovamente intervenuto modificando le previsioni di cui all’art. 36 del d. lgs. n. 165/2001, precisando al comma 5 che il giudice dovrà stabilire il danno patito dal lavoratore in caso di abusiva reiterazione dei contratti a termine imponendo la corresponsione di una indennità compresa tra un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità.

Avv. Mattia Angeleri

Torino

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