Anche il settore agricolo, come ogni altro settore occupazionale, è disciplinato da norme contenute essenzialmente nel Contratto Collettivo Nazionale di lavoro e specificate nei diversi Contratti Collettivi Provinciali che ne definiscono e regolano l’ambito di applicazione.
L’agricoltura è un settore produttivo caratterizzato dalla stagionalità e dall’esigenza di far fronte a lavorazioni che richiedono l’impiego di personale solo per determinati periodi di tempo durante l’anno e questa peculiarità ha fatto sì che il contratto di lavoro a tempo determinato sia stato utilizzato come la forma più comune di rapporto di lavoro e come tale sia stato oggetto di una disciplina distinta da quella prevista per i rapporti di lavoro subordinato negli altri settori produttivi.
L’esclusione degli operatori del settore agricolo dalla generale disciplina generale dei contratti a tempo determinato, è stata sancita, da ultimo, nel Decreto Legislativo n. 81/2015 che nell’art. 29, comma 1 lett. b), stabilisce che le norme generali sui contratti a tempo determinato non si applicano ai contratti di lavoro a tempo determinato degli operai agricoli.
Per quanto attiene all’attività lavorativa prestata dagli operai agricoli, infatti, la mancanza dell’obbligo di indicare per iscritto le ragioni dell’apposizione di un termine al contratto e la riassunzione dell’operaio con altro contratto a termine immediatamente prima o dopo la scadenza del contratto non comportano automaticamente la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato.
La semplificazione della gestione dei rapporti di lavoro a tempo determinato nel settore agricolo, infatti, permette al datore di lavoro di poter ricorrere a tali strumenti anche per far eseguire lavori di breve durata, che hanno carattere saltuario o stagionale e consentono all’operaio agricolo di prestare la propria attività lavorativa in modo regolare e con il dovuto riconoscimento di tutte le prestazioni accessorie che la legge riconosce.
La possibilità di utilizzare i contratti a tempo determinato in maniera meno vincolante e più semplificata è stata una scelta operata dal Legislatore anche per tentare di arginare quanto più possibile il fenomeno, ben radicato, del lavoro nero.
Il settore agricolo, infatti, è notoriamente caratterizzato da un ampio ricorso al lavoro prestato irregolarmente la cui irregolarità si sostanzia nel c.d. lavoro “nero” (per tale intendendosi – secondo la definizione adottata a livello europeo – l’attività lavorativa lecita di per sé, ma non dichiarata alle autorità pubbliche), nel c.d. lavoro “grigio” (quello prestato in presenza di regolare contratto di lavoro, ma con sistematiche violazioni della normativa protettiva di fonte legale e collettiva) o più in generale nel lavoro sfruttato che si sviluppa, non di rado, sotto il controllo della criminalità organizzata.
Per reprimere il fenomeno del lavoro sommerso la Legge n. 145 del 30.12.2018, cd. Legge di Bilancio 2019, (all’art. 445 lettera d) ha previsto una revisione del regime sanzionatorio introducendo una maxi sanzione ed aumentando le sanzioni già previste per i datori di lavoro che utilizzano manodopera, operai, dipendenti, e collaboratori senza regolare contratto di lavoro.
Tale previsione normativa ha, infatti, aumentato del 20 % le sanzioni amministrative pecuniarie in capo al datore di lavoro, previste dall’art. 22 del D.lgs n. 151 del 14.09.2015 che, per le violazioni accertate a far data dal 01.01.2019, oltre al pagamento delle dovute retribuzioni e contribuzioni a favore del lavoratore, vengono quantificate in proporzione alla durata del lavoro irregolare nella misura seguente:
– da Euro 1.800,00 ad Euro 10.800,00 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore sino a 30 giorni di lavoro effettivo irregolare;
– da Euro 3.600,00 ad Euro 21.600,00 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore da 31 giorni e fino a 60 giorni;
– da Euro 7.200,00 ad Euro 43.200,00 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore oltre 60 giorni di lavoro effettivo in nero.
Le predette sanzioni, inoltre, possono essere ulteriormente incrementate del 20% nell’ipotesi in cui il lavoratore impiegato risulti essere un soggetto extracomunitario non in regola con il permesso di soggiorno ovvero un minore in età non lavorativa.
Le sanzioni, infine, verranno raddoppiate laddove, nei tre anni precedenti, il datore di lavoro sia stato destinatario di sanzioni amministrative per i medesimi illeciti.
Oltre all’inasprimento del regime sanzionatorio di cui sopra, il decreto di attuazione del Jobs Act ha reintrodotto la procedura di diffida così permettendo al datore di lavoro di regolarizzare la violazione che gli è stata accertata ed ottenere una riduzione della sanzione stessa.
Con l’art. 22 del D Lgs n. 151 /2015, infatti, viene nuovamente riconosciuta al trasgressore la possibilità di pagare la sanzione comminata in misura minima nel caso in cui regolarizzi il lavoratore con contratto di lavoro a tempo indeterminato (anche part-time) o con contratto a tempo determinato di durata non inferiore ai tre mesi. In tali ipotesi si ricorda che è onere dal datore di lavoro fornire la prova del pagamento della sanzione, dei contributi e dei premi dovuti nel termine di 120 giorni dalla notifica del verbale di contestazione.
Merita poi rilevare, infine, che qualora a seguito di attività di controllo ispettiva venga riscontrato un impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20% del totale dei lavoratori, regolari o meno, presenti sul posto di lavoro al momento dell’accesso ispettivo può essere altresì disposta la sospensione temporanea dell’attività imprenditoriale.
Il comma 4 dell’art. 22 del D. Lgs. n. 151 /2015, infatti, ha apportato della modifiche all’art. 14 del D.L. n. 81/2008 operando un leggero aumento delle somme dovute per ottenere la revoca del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale e introducendo la possibilità di ottenere la revoca del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale subordinatamente al pagamento del 25 % della somma dovuta permettendo di versare la parte residua, maggiorata dal 5%, entro 6 mesi dalla presentazione dell’istanza di revoca.
Alla luce del regime sanzionatorio sopra individuato, si consiglia di inquadrare correttamente il lavoratore sin dal primo giorno di lavoro per evitare di incorrere in sanzioni ricorrendo, eventualmente, all’utilizzo di un contratto a tempo determinato che, pare opportuno ricordare, anche nel settore agricolo può essere risolto per mancato superamento del periodo di prova consentendo al datore di lavoro di ricorrere all’attività lavorativa di soggetti regolarmente inquadrati sin dal primo giorno di lavoro.
Avv. Simona ARCURI
Avv. Marcello Maria BOSSI