Quesito: “Sono proprietario di una cascina e nell’aia tengo un cane legato ad una lunga catena. Alcuni giorni addietro il cane è riuscito a liberarsi ed ha morso un addetto alla raccolta rifiuti che sulla via era intento a svuotare i cassonetti. Sono responsabile per tale fatto?”
La responsabilità per danni cagionati da animali fa carico al proprietario dell’animale. Questa ipotesi di responsabilità oggettiva del proprietario fondata sul rapporto di fatto con l’animale è sancita dall’art. 2052 del Codice Civile a norma del quale il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale sia che fosse sotto la sua custodia sia che fosse smarrito o fuggito salvo che provi il caso fortuito.
La responsabilità in esame discende direttamente dal rapporto di proprietà o di utilizzo tra il proprietario e l’animale. A nulla rileva la diligenza o l’aver provato di aver fatto il possibile per evitare il danno dimostrati eventualmente dal proprietario: egli sarà comunque responsabile del danno cagionato dall’animale in quanto ciò che rileva non è il comportamento del proprietario o l’elemento soggettivo di quest’ultimo ma la relazione intercorrente tra il soggetto e l’animale stesso.
L’unico caso in cui il responsabile individuato dall’art. 2052 c.c. non risponde per i danni arrecati dall’animale è il caso fortuito, ossia l’intervento di un fattore esterno imprevedibile, inevitabile, di assoluta eccezionalità e rilevanza idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo. Nel concetto di caso fortuito la giurisprudenza ha annoverato, altresì, il fatto del danneggiato ossia di un comportamento del terzo capace di interrompere il predetto nesso di causalità presentandosi, quindi, l’evento come risultato del comportamento di quest’ultimo (Cass. Civ. n. 6454/2007).
Tale prova, tuttavia, è particolarmente rigorosa è non si può risolvere nel fatto che l’animale si sia comportato seguendo gli impulsi della propria natura né invocando la sua mansuetudine abituale ovvero la docilità quale esimente della propria responsabilità in quanto questa non si fonda su una un comportamento imprudente o superficiale del proprietario bensì sulla sola relazione di riferibilità dell’animale al soggetto.
Benché dunque a spingere l’animale ad una condotta dannosa siano impulsi imprevedibili o inevitabili e che quindi proprio come tali potrebbero rientrare in una astratta ipotesi di caso fortuito, il responsabile ex art. 2052 c.c. sarà in ogni caso condannato al risarcimento del danno una volta che il danneggiato abbia provato la sussistenza del nesso causale fra la condotta dell’animale e l’incidente occorsogli.
Proprio in applicazione dei principi sopra richiamati la giurisprudenza non ha esentato da responsabilità il proprietario del cane che liberandosi dalla catena abbia cagionato danni quantunque il primo avesse provato di aver attentamente custodito il cane e l’irrazionale comportamento dello stesso (Cass. Civ. n. 2615/1970, Trib. Milano 30/11/2005).
Nell’ipotesi descritta nel quesito proposto, pertanto, non sembrerebbero esserci margini per escludere la responsabilità del proprietario dell’animale posto che non si hanno informazioni su un eventuale esclusiva imputabilità della reazione dell’animale ad un comportamento dell’addetto alla raccolta rifiuti.
Avv. Marcello BOSSI