Successioni

  • La Suprema Corte, con sentenza n. 25021/19 del 07.10.2019 ha ribaltato i principi, sino ad allora espressi, in materia di divisione di un immobile abusivo e non condonato, in comunione tra più persone.

    La sentenza affronta tutti i tipi di divisione presenti nel nostro ordinamento: la divisione ordinaria, la divisione ereditaria e quella derivante da una procedura esecutiva di pignoramento o di un fallimento.

    In materia di divisione ordinaria, la Corte di Cassazione ha evidenziato come "gli atti di scioglimento delle comunioni relativi ad edifici, o a loro parti, sono soggetti alla comminatoria della sanzione della nullità prevista dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, per gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici realizzati prima della entrata in vigore della L. n. 47 del 1985 dai quali non risultino gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ovvero ai quali non sia unita copia della domanda di sanatoria corredata dalla prova del versamento delle prime due rate di oblazione o dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante che la costruzione dell'opera è stata iniziata in data anteriore al 1 settembre 1967". Tale principio, ribadisce la Corte, si può estendere anche alla divisione ereditaria.

    Tutto ciò premesso, la Consulta si concentra sulle implicazioni che tale principio, relativamente allo scioglimento della comunione ereditaria in generale, può avere sulla divisione "giudiziale" dell'eredità o di una comproprietà tra vivi.

    E’ su questo punto che la Corte ribalta il suo precedente orientamento, ritenendo che "quando sia proposta domanda di scioglimento di una comunione (ordinaria o ereditaria che sia), il giudice non può disporre la divisione che abbia ad oggetto un fabbricato abusivo o parti di esso, in assenza della dichiarazione circa gli estremi della concessione edilizia e degli atti ad essa equipollenti, come richiesti dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 46 e dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, comma 2, costituendo la regolarità edilizia del fabbricato condizione dell'azione ex art. 713 c.c., sotto il profilo della "possibilità giuridica", e non potendo la pronuncia del giudice realizzare un effetto maggiore e diverso rispetto a quello che è consentito alle parti nell'ambito della loro autonomia negoziale. La mancanza della documentazione attestante la regolarità edilizia dell'edificio e il mancato esame di essa da parte del giudice sono rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio".

    Particolarità è poi insita nella fattispecie della divisione parziale dell’eredità. Tale divisione, nell’ipotesi prevista dal n. 11) dell’art. 1350 cod. civ. e cioè per “gli atti di divisione di beni immobili e di altri diritti reali immobiliari”, richiede il concorso della volontà manifestata per iscritto da tutti i coeredi o, nel caso in cui si parli di divisione giudiziale, l’assenza di un'opposizione alla richiesta giudiziale di divisione parziale da parte degli altri coeredi. Nel caso di specie, tuttavia, la Consulta ha enucleato un principio di diritto differente, sostenendo che “allorquando tra i beni costituenti l'asse ereditario vi siano edifici abusivi, ogni coerede ha diritto, ai sensi all'art. 713 c.c., comma 1, di chiedere e ottenere lo scioglimento giudiziale della comunione ereditaria per l'intero complesso degli altri beni ereditari, con la sola esclusione degli edifici abusivi, anche ove non vi sia il consenso degli altri condividenti”.

    Individuata la possibilità di estendere la comminatoria della sanzione della nullità, tanto nel caso in cui la divisione ereditaria sia di carattere convenzionale quanto giudiziale, la Corte di Cassazione ha concluso il suo ragionamento affrontando il problema dell’espropriazione di un immobile con un abuso edilizio, sottolineando come: “in forza delle disposizioni eccettuative di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, comma 5 e al L. n. 47 del 1985, art. 40, commi 5 e 6, lo scioglimento della comunione (ordinaria o ereditaria) relativa ad un edificio abusivo che si renda necessaria nell'ambito dell'espropriazione di beni indivisi (divisione c.d. "endoesecutiva" o nell'ambito del fallimento (ora, liquidazione giudiziale) e delle altre procedure concorsuali (divisione c.d. "endoconcorsuale") è sottratta alla comminatoria di nullità prevista, per gli atti di scioglimento della comunione aventi ad oggetto edifici abusivi, dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 46, comma 1, e dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, comma 2”. Non si può quindi negare la divisione dell’edificio abusivo chiesta dalla curatela fallimentare o da un creditore nell’ambito di un pignoramento immobiliare; la possibilità di espropriare i fabbricati abusivi nell’ambito di pignoramenti e fallimenti, infatti, deve essere garantita per evitare stratagemmi da parte del debitore per sfuggire ad un'eventuale esecuzione forzata intrapresa dai creditori.

    Dott. Mattia Angeleri

  • Con la recente sentenza n. 6122 del 12 marzo 2013 la Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata in materia di prelazione agraria riconosciuta in capo al coltivatore diretto proprietario del terreno confinante con quello oggetto di compravendita.

    Come noto l’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817 ha esteso l’istituto della prelazione agraria anche al proprietario coltivatore diretto di terreno confinante disponendo che il diritto di prelazione di cui all’art. 8 della legge 26 maggio 1965 n. 590 spetta anche al coltivatore diretto proprietario di fondi confinanti con quelli offerti in vendita purché sugli stessi non siano insediati mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti o enfiteuti coltivatori diretti e ciò al fine dell’accorpamento dei fondi per migliorarne la redditività e per formare imprese coltivatrici di più ampie dimensioni e maggiormente efficienti sotto il profilo tecnico ed economico. 

    La prelazione agraria del proprietario confinante coltivatore diretto opera, pertanto, se sussistono tutte le condizioni previste dall’art. 8 della legge 26 maggio 19865 n. 590, ossia la coltivazione biennale dei terreni agricoli confinanti di sua proprietà, la mancata vendita di fondi rustici nel biennio precedente e l’adeguata forza lavorativa, nonché se vi è contiguità tra il fondo offerto in vendita e quello condotto dal prelazionario e se sul fondo oggetto della vendita non è insediato un affittuario, mezzadro, colono, compartecipante o enfiteuta coltivatore diretto in forza di un valido titolo giuridico.

    Come si evince dal dato normativo situazione ostativa alla prelazione in favore del confinate è la presenza sul fondo oggetto di compravendita di un soggetto che ne eserciti la diretta conduzione in forza di uno dei contratti agrari tipicamente previsti, con la conseguenza che non può essere ritenuto sufficiente ai fini dell’esclusione del predetto diritto di prelazione una presenza puramente fattuale come la temporanea presenza di un affittuario predisposta ed attuata mediante la formale stipula di un contratto di affitto cui tuttavia non corrisponde l’effettivo insediamento dell’affittuario.

    Affinché la coltivazione del fondo del terreno posto in vendita costituisca un elemento impeditivo della prelazione del confinante l’insediamento deve, pertanto, essere effettivo e stabile, tale da giustificare la prevalente tutela della conservazione dell’azienda agricola dell’affittuario rispetto all’interesse del proprietario del fondo finitimo al conglobamento del suo terreno con quello in vendita.  

    Tale principio è stato più volte ribadito dalla Corte di Cassazione che con la sentenza n. 6122 del 12 marzo 2013 è giunta ad affermare che il dato della coltivazione del fondo quale elemento ostativo alla configurazione della prelazione del confinante deve sussistere non solo in termini di attualità ma anche ed in particolar modo di prospettiva futura, dovendo essere l’insediamento dell’affittuario sul fondo, oltre che stabile ed effettivo, preordinanto alla prosecuzione da parte di questi dell’attività di coltivazione esistente al momento della stipula dell’atto di acquisto.

    Con tale importante pronuncia la Corte di legittimità ha pertanto precisato che la presenza sul fondo oggetto di compravendita di un soggetto che ne eserciti la conduzione in virtù di uno dei contratti agrari tipicamente previsti non costituisce situazione ostativa al perfezionarsi del diritto di prelazione in capo al coltivatore diretto proprietario del terreno confinante se rappresenta il risultato di una combinazione negoziale connotata da finalità elusive della prelazione del confinante in quanto preordinata esclusivamente al subentro nella detenzione del bene di soggetti terzi non aventi su di esso alcun diritto.

    In conclusione: la presenza di un conduttore sul fondo posto in vendita è in grado di eludere il diritto di prelazione nei confronti dei proprietari confinanti che coltivano direttamente il terreno nella sola ipotesi che il contratto di affitto abbia carattere di stabilità sia per ciò che riguarda la durata residua sia per quanto attiene l’effettiva gestione colturale del fondo.

  • Con la sentenza 3 luglio 2019, n. 17868, la Corte di Cassazione ha enunciato che: “L'institutio ex re certa, quando non comprende la totalità dei beni, non importa attribuzione anche dei beni che non formarono oggetto di disposizione, i quali si devolvono secondo le norme della successione legittima, destinata ad aprirsi ai sensi dell'art. 457 c.c., comma 2, ogni qual volta le disposizioni a titolo universale, sia ai sensi del comma 1, sia ai sensi del comma 2 dell'art. 588 c.c., non ricostituiscono l’unità. Invero il principio che la forza espansiva della vocazione a titolo universale opera anche in favore dell’istitutio ex re certa, va inteso nel senso che l'acquisto di costui non è limitato in ogni caso alla singola cosa attribuita come quota, ma si estende proporzionalmente ai beni ignorati dal testatore o sopravvenuti. La qualifica di erede universale nella scheda testamentaria, associata all'attribuzione di un singolo bene o di un complesso di beni, pur potendo costituire un elemento valutabile di fini dell'indagine diretta ad accertare l'eventuale intenzione del testatore di assegnare quei beni come quota del patrimonio, ai sensi dell'art. 588 c.c., comma 2, non giustifica, di per sè, l'attribuzione degli altri beni menzionati nel testamento e non attribuiti, occorrendo a tal fine che sia ricavabile dal complessivo contenuto del testamento una disposizione nell'universalità del patrimonio ai sensi dell'art. 588 c.c., comma 1”.

  • Con la sentenza n.26873 del 22.10.2019, la Corte di Cassazione ha enucleato che «In tema di incapacità di testare a causa di incapacità di intendere e di volere al momento della redazione del testamento, il giudice del merito può trarre la prova dell'incapacità del testatore dalle sue condizioni mentali, anteriori o posteriori, sulla base di una presunzione, potendo l'incapacità stessa essere dimostrata con qualsiasi mezzo di prova; conseguentemente, quando l'attore in impugnazione abbia fornito la prova di una condizione di permanente e stabile demenza nel periodo immediatamente susseguente alla redazione del testamento, poiché in tal caso la normalità presunta è l'incapacità, spetta a chi afferma la validità del testamento la prova della sua compilazione in un momento di lucido intervallo».