Locazioni

  • Con la sentenza del 25 gennaio 2011, n. 1735, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla risolvibilità per fatto e colpa del locatore di un contratto di locazione commerciale avente ad oggetto un capannone, in seguito risultato non idoneo allo svolgimento dell’attività per cui il conduttore l’aveva locato.In particolare, la vicenda presenta le seguenti circostanze:

    - l’attività che il conduttore voleva svolgere nel capannone era ben nota anche al locatore;

    - il proprietario del capannone assicurava nel contratto di locazione la regolarità edilizia ed urbanistica secondo la sua destinazione d’uso;

    - solo dopo aver stipulato il contratto il conduttore avviava le pratiche per le autorizzazioni a svolgere l’attività programmata;

    - l’Amministrazione le respingeva per inidoneità dei locali e per la presenza di limitazioni del piano regolatore generale comunale (che, nella zona di ubicazione del capannone, consentiva solo lo svolgimento di attività produttive artigianali non inquinanti);

    - la Corte d’Appello territorialmente adita ravvisava l’inadempimento totale ed originario del locatore, che aveva garantito la conformità dell’immobile conoscendo le intenzioni del conduttore.

    Su tali premesse, la Corte di Cassazione ha invece ribadito un principio costante per cui, nella locazione di immobili ad uso non abitativo, è il conduttore a dover verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento dell’attività e quindi per il rilascio delle relative autorizzazioni amministrative, confermando che non vi è nessuna responsabilità in capo al locatore se il conduttore non riesce ad ottenere le autorizzazioni necessarie a svolgere l’attività proprio a causa dell’inadeguatezza dell’immobile preso in locazione, fatte salve specifiche pattuizioni contrattuali.

  • Stipulato un contratto di locazione di un immobile destinato a uso non abitativo, grava sul conduttore l'onere di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento della divisata attività e al rilascio delle autorizzazioni amministrative indispensabili alla legittima utilizzazione del bene locato.Ciò significa che, in vìa del principio confermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 1735 del 25 gennaio 2011, non è onere del locatore conseguire tali autorizzazioni e che, ove il conduttore non riesca ad ottenerle, non è configurabile alcuna responsabilità per inadempimento in capo al proprietario, e ciò quand'anche il diniego di autorizzazione sia dipeso da caratteristiche proprie del bene locato.

  • Con riferimento all’indennità di avviamento prevista a favore del conduttore dall’art. 34 della Legge n. 392/78 la giurisprudenza di legittimità ha espresso nel tempo due orientamenti contrapposti.

    Un primo orientamento prevede che l’indennità di avviamento di cui all’art. 34 della legge n. 392/78 sia da considerarsi uno dei “vantaggi” del conduttore protetti dal successivo art. 79 e quindi come uno strumento che tutela la parte debole del rapporto. Tale orientamento giurisprudenziale, da ritenersi prevalente, indica come la nullità prevista all’art. 79 miri ad evitare che al momento della stipula del contratto il conduttore sia indotto ad accettare condizioni che ledano i suoi diritti pur di assicurarsi il godimento dell’immobile mediante accordi che operino un’elusione preventiva dei suddetti diritti concessi da norme imperative. In altri termini, l’orientamento prevalente prevede l’inderogabilità in sede di stipula del contratto di locazione commerciale dei diritti riconosciuti dalla L. n. 392 del 1978 che divengono disponibili solo in un secondo momento, potendo il conduttore disporne una volta sorti (ad es. nel corso di una transazione) (Cass. civ., sez. III, ord. 23 agosto 2018 n. 20974; Cass. civ., sez. III, 13 giugno 2018, n. 15373; Cass. civ., sez. III, 24 novembre 2007, n. 24458; Cass. civ., sez. III, 14 gennaio 2005, n. 675; Cass. civ., sez. III, 12 novembre 2004, n. 21520; Cass. civ., sez. III, 18 gennaio 2002, n. 537). 

    Un secondo e minoritario orientamento prevede che l’indennità di avviamento sia invece da considerarsi uno strumento di “reintegrazione sinallagmatica”, considerato che non vi è diritto a tale indennità se il rapporto ha raggiunto la durata prevista. In tale ottica è possibile per il conduttore quindi rinunciare all’indennità sin dalla stipulazione del contratto, a fronte di una riduzione del canone, in virtù del principio di libera determinazione del corrispettivo che permea il settore della locazione commerciale. In sintesi, si sarebbe dinnanzi ad una “fattispecie a formazione progressiva”: le parti dapprima pattuiscono una certa misura del canone e, successivamente, il conduttore ne accetta la riduzione a fronte della rinuncia all’indennità di avviamento. Tale orientamento, che ammette la rinuncia ai diritti spettanti ex lege al conduttore commerciale a fronte di una riduzione del canone, è del tutto minoritario ed è rimasto assai debole (Cass. civ., sez. III, 29 aprile 2015, n. 8705; Cass. civ., sez. III, 12 luglio 2005, n. 14611; Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 1995, n. 10907).

    Con la più recente sentenza n. 24221 del 2019 la Cassazione, dopo aver evidenziato le due tesi contrapposte e sottolineato come la prima sia nettamente maggioritaria, in un obiter dictum sottolinea come vi sia una criticità dal punto di vista giuridico e socioeconomica insita nella configurazione del conduttore commerciale quale parte debole del rapporto al momento della stipula della locazione, ma ritiene di non poter accedere realmente alla tematica a causa della conformazione dei motivi dedotti nel ricorso, così lasciando incerto l’orientamento in materia.

    Dott. Mattia Angeleri 

  • La Corte Suprema, in tema di locazione di immobili urbani e di diritto di prelazione del conduttore di immobili non adibiti ad abitazione, con sentenza n. 25448 del 16 dicembre 2010, ha affermato che, perché si abbia vendita in blocco con esclusione, di conseguenza, del diritto di prelazione del conduttore, la vendita non deve necessariamente riguardare un intero edificio (da cielo a terra) nel quale è compreso quello locato, ma è sufficiente che i vari beni ceduti, tra loro confinanti, costituiscano un unicum e siano venduti (o promessi in vendita) non come una pluralità di immobili, casualmente appartenenti a un unico proprietario e ceduti (o cedendi) allo stesso acquirente, ma come un complesso unitario e costituente un quid diverso dalla mera somma delle singole unità immobiliari. A tale riguardo l'indagine del giudice del merito non deve essere condotta solo sulla base della situazione oggettiva, di fatto esistente al momento della vendita , non potendo il giudice del merito prescindere da quello che è il tenore del contratto di vendita (o del preliminare), nonché - in considerazione delle circostanze del caso concreto - di altri eventuali contratti che, seppure intervenuti tra soggetti parzialmente diversi possano dirsi collegati al primo e sulla base di questi apprezzare se le parti hanno, o meno, considerato la vendita dei vari cespiti come la vendita di un complesso unitario non frazionabile. Al detto fine, deve essere adeguatamente apprezzata, altresì l'intenzione dell'acquirente (o del promittente acquirente) di utilizzare tutti i beni acquistati per una utilizzazione che ne imponga l'accorpamento. E' salva comunque, la facoltà per il conduttore di dedurre e dimostrare, con ogni mezzo, la natura fittizia dell'operazione.

  • Con sentenza del 20 giugno 2011 n. 13483 la Suprema Corte, premesso che la locazione per abitazione ad uso di seconda casa se caratterizzata dalla protratta permanenza del conduttore per cospicui periodi dell'anno ed anzi dalla tendenziale fruizione dell'immobile secondo le disponibilità del tempo libero di quegli senza uno schema prefissato, è finalizzata a soddisfare esigenze abitative certamente complementari ma di rango uguale a quelle della prima casa,  ha affermato che la disciplina di cui alla L. n. 431 del 1998 mira con tutta evidenza - per ragioni sistematiche e letterali, desumibili dal carattere tendenzialmente esaustivo della sua regolamentazione del settore, se non pure dai lavori preparatori e dal contesto normativo che essa è venuta a modificare - a regolamentare nella sua interezza il settore delle locazioni abitative per la sua attinenza con il bisogno primario della disponibilità di un alloggio, indispensabile per la stessa estrinsecazione della persona umana; pertanto, essa esaurisce la disciplina di qualsiasi contratto avente ad oggetto la concessione continuativa di un immobile da destinarsi ad abitazione e le sole eccezioni sono quelle da essa stessa previste.

  • La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n. 11135 del 04.07.2012 ha risolto un dibattito giurisprudenziale in merito alla corretta qualificazione della posizione di un comproprietario di un immobile locato dall’altro comunista ad un soggetto terzo senza previa condivisione dell’attività di disposizione del bene comune.

    Sul punto prima della pronuncia in questione si distinguevano due diverse teorie: un primo orientamento riteneva che la fattispecie in esame avrebbe dovuto seguire le regole del mandato senza rappresentanza; secondo un altro orientamento, sarebbe stato possibile sussumere la fattispecie in questione nello schema della gestione d’affari nell’interesse comune.

    La differenza rilevava sul piano pratico oltre che teorico, dato che solo nel secondo caso sarebbe stato possibile tutelare l’affidamento del conduttore (il contratto di locazione sarebbe rimasto pienamente efficace nonostante la mancanza del consenso di tutti i comproprietari) e lasciare comunque intatta la pretesa di tutti i comunisti all’ottenimento della quota dei canoni ricevuti dall’unico formale locatore (il non locatore infatti, a seguito, di ratifica avrebbe potuto partecipare alla divisione dei canoni percepiti a seguito della locazione sulla base della propria partecipazione alla comunione).

    Le Sezioni Unite hanno definitivamente sposato il secondo orientamento, sostenendo che «la locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari rientra nell'ambito della gestione di affari altrui ed è soggetta alle regole di tale istituto, tra le quali quella di cui all'art. 2032 cod. civ., sicché, nel caso di gestione non rappresentativa, il comproprietario non locatore può ratificare l'operato del gestore e, ai sensi dell'art. 1705, secondo comma, cod. civ., applicabile per effetto del richiamo al mandato contenuto nel citato art. 2032 cod. civ., esigere dal conduttore, nel contraddittorio con il comproprietario locatore, la quota dei canoni corrispondente alla rispettiva quota di proprietà indivisa».

    Dott. Mattia Angeleri 

  • La Corte di Cassazione con la sentenza del 29.09.2011, n. 19876 ha affermato che nelle transazioni aventi ad oggetto un contratto di locazione la clausola con cui il locatore dichiara di avere null'altro da pretendere nei confronti del conduttore a qualunque titolo e/o spesa passati e futuri, relativamente al rapporto locatizio tra loro intercorso, non deve essere qualificata come una clausola di mero stile e, pertanto, priva di efficacia negoziale, atteso il suo concreto contenuto volitivo ben determinato ed espressamente riferito al negozio posto in essere dalle parti. La Suprema Corte ha, infatti, precisato che le clausole di mero stile sono integrate da espressioni generiche frequentemente contenute nei contratti o negli atti notarili che, però, a causa della loro eccessiva ampiezza ed indeterminatezza, rivestono un ruolo di semplice completamento formale dell’atto.

  • Con la sentenza n. 11783 del 12.05.2017 la Corte di Cassazione, nel richiamare un principio consolidato, ha affermato che in caso di locazione la sospensione totale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttore è legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un'alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti. La Suprema Corte, richiamato il principio secondo le parti non possono prescindere per l’intera durata del rapporto contrattuale dall'osservanza dei canoni di correttezza e buona fede, ha ritenuto che ove il conduttore continui a godere dell'immobile, pur in presenza di vizi, non è legittima la sospensione del pagamento del canone in quanto tale comportamento non è proporzionale all'inadempimento del locatore ed è contrario a correttezza e buona fede.

  • La Corte di Cassazione con sentenza n. 12286 del 7 giugno 2011 ha ribadito il principio per cui la mancanza delle autorizzazioni o concessioni amministrative che condizionano la regolarità dell'immobile sotto il profilo edilizio, ed in particolare la sua abitabilità e la sua idoneità all'esercizio di attività commerciale, costituisce inadempimento del locatore che giustifica la risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1578 cod. civ.  (Cass. civ. Sez. 3, 11 aprile 2006 n. 8409): impediscono tale risoluzione la circostanza che il conduttore fosse a conoscenza della situazione dell'immobile alla data della conclusione del contratto; o che ne avesse accettato il rischio (non dichiarando l'uso al quale intendeva destinare i locali; o manifestando di voler accettare l'immobile nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava; od altro); o che avesse comunque svolto di fatto la sua attività, nonostante l'irregolarità dei locali: situazioni con riferimento alle quali la giurisprudenza ha in effetti affermato che la domanda di risoluzione può essere proposta solo dopo che il provvedimento autorizzativo sia stato definitivamente negato (cfr., fra le tante, Cass. civ. Sez. 3, 21 dicembre 2004 n. 23695; Idem, 13 marzo 2007 n. 5836; Idem, 25 maggio 2010 n. 12708).