Diritto processuale

  • Con la sentenza del 23.04.2012, n. 6337 la Corte di Cassazione ha confermato il principio secondo cui nel rito del lavoro, ai sensi di quanto disposto dagliartt. 421 e 437 c.p.c., l'esercizio del potere d'ufficio del giudice, pur in presenza di già verificatesi decadenze o preclusioni e pur in assenza di una esplicita richiesta delle parti in causa, non è meramente discrezionale, ma si presenta come un potere - dovere, di talché il giudice del lavoro non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata sull'onere della prova, avendo l'obbligo - in ossequio a quanto prescrittodall'art. 134 c.p.c., ed al disposto di cuiall'art. 111 Cost., comma 1, sul "giusto processo regolato dalla legge" - di esplicitare le ragioni per le quali reputi di far ricorso all'uso dei poteri istruttori o, nonostante la specifica richiesta di una delle parti, ritenga, invece, di non farvi ricorso.La Suprema Corte ha chiarito, di poi e richiamando un principio già affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 11353 del 2004, che nel rispetto del principio dispositivo i poteri istruttori non possono in ogni caso essere esercitati sulla base del sapere privato del giudice, con riferimento a fatti non allegati dalle parti o non acquisiti al processo in modo rituale, dandosi ingresso alle cosiddette prove atipiche, ovvero ammettendosi una prova contro la volontà delle parti o, infine, in presenza di una prova già espletata su punti decisivi della controversia, ammettendo d'ufficio una prova diretta a sminuirne l'efficacia e la portata.


     

  • Con la sentenza del 09.01.2012 n. 30 la Corte di Cassazione ha affermato che la sentenza del Giudice del rinvio che non si sia attenuto, come invece era suo obbligo fare, al principio di diritto enunciato nella sentenza con rinvio della Suprema Corte è illegittima. La Corte di legittimità ha, infatti, precisato che qualora in una sentenza della Corte stessa venga fissato il criterio che deve uniformare la decisione della controversia, tutte le questioni in proposito precedentemente dedotte devono intendersi implicitamente decise, di talché la sentenza che dispone il rinvio vincola il giudice cui la causa è rinviata sia in ordine ai principi di diritto in essa affermati, sia in riferimento ai necessari presupposti di fatto, da ritenersi accertati in via definitiva nella precedente fase di merito ed operanti quali premesse logico – giuridiche della sentenza di annullamento.

  • Con la sentenza del 19.10.2012 n. 18026 la Corte di Cassazione ha affermato che la sospensione necessaria del processo di cui all'art. 295 c.p.c. presuppone che il rapporto di pregiudizialità tra le due cause di cui si tratta sia non solo concreto ma anche attuale, nel senso che la causa ritenuta pregiudiziale sia tuttora pendente, non avendo altrimenti il provvedimento alcuna ragion d'essere e traducendosi anzi in un inutile intralcio all'esercizio della giurisdizione. La Suprema Corte ha altresì precisato che ove una sentenza venga censurata in cassazione per non essere stato il giudizio di merito sospeso in presenza di altra causa pregiudiziale, incombe al ricorrente l'onere di dimostrare che quest'ultima è tuttora pendente e che presumibilmente lo sarà anche nel momento in cui il ricorso verrà accolto, dovendosi ritenere in difetto che manchi la prova dell'interesse concreto e attuale che deve sorreggere il ricorso, non potendo nè la Corte di Cassazione nè un eventuale Giudice di rinvio disporre la sospensione del giudizio, in attesa della definizione di un'altra causa che non risulti più effettivamente in corso.

  • Con la sentenza del 23.10.2012 n. 18175 la Corte di Cassazione ha affermato che la valutazione delle prove testimoniali ed il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla loro credibilità involgono apprezzamenti di fatto riservati al Giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione delle altre, non incontra alcun limite se non quello di specificare le ragioni del proprio convincimento, senza dover discutere ogni singolo elemento prospettato dalle parti o confutare ogni deduzione difensiva. La Suprema Corte ha altresì precisato che il vizio di motivazione deducibile con il ricorso in cassazione ex art. 360, I comma, n. 5 c.p.c. non può consistere nella difformità di apprezzamento dei fatti e delle prove compiuto dal giudice di merito rispetto a quello preteso dalla parte.

  • Con la sentenza del 05.10.2012 n. 16959 la Corte di Cassazione ha affermato che l'espressione "nozioni di comune esperienza" di cui all'art. 115 c.p.c. deve essere considerata in senso rigoroso, dovendosi intendere con esse fatti acquisiti alla conoscenza della collettività con un grado di certezza tale da apparire indubitabili ed incontestabili, atteso che il ricorso ad esse comporta una deroga al principio dispositivo ed al principio del contraddittorio. La Suprema Corte ha altresì precisato che non si possono considerare rientranti nella nozione di fatti di comune esperienza, intesa quale esperienza di un individuo medio in un dato tempo ed in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari nè quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice.
  • Con propria ordinanza n. 21375 del 15 settembre 2017 la Corte di Cassazione ha affermato che la dichiarazione dell'evento interruttivo del processo debba intendersi per validamente effettuata dal difensore della parte colpita dall'evento stesso al difensore della controparte, ai sensi dell'art. 300 c.p.c. e dell'art. 170 c.p.c., e che in tal caso il termine per la riassunzione decorre dalla data della conoscenza dell'evento interruttivo e non da quella della formale dichiarazione di interruzione del giudizio. 

    La comunicazione della dichiarazione dell'evento interruttivo del giudizio effettuata a mezzo P.E.C. (dal difensore della parte interessata dall'evento al difensore della controparte), essendo equivalente a notificazione effettuata per mezzo del servizio postale, deve ritenersi idonea a dimostrarne la conoscenza legale da parte del destinatario, almeno in mancanza di prova contraria.

  • Con la sentenza del 10.10.2011, n. 20802 la Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo cui se è vero che l'insussistenza (per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 248 del 1994) del divieto di testimoniare sancito per i parenti dall'art. 247 c.p.c., non consente al giudice di merito una aprioristica valutazione di non credibilità delle deposizioni rese dalle persone indicate da detta norma, è altrettanto vero che l'esistenza di uno dei vincoli in essa indicati può, in concorso con ogni altro utile elemento, essere considerato dal giudice di merito ai fini della verifica della maggiore o minore attendibilità delle deposizioni stesse precisando, altresì, che ancor meno può ritenersi legittimo un aprioristico giudizio d'inattendibilità del teste legato alla parte da affinità in linea collaterale.

  • Con la sentenza del 13.03.2012, n. 3959 la Corte di Cassazione ha statuito che, poiché i limiti di valore sanciti dall'art. 2721 c.c. riguardo all'ammissibilità della prova testimoniale non attengono all'ordine pubblico ma sono dettati nell'esclusivo interesse delle parti private, qualora la prova venga ammessa in primo grado oltre i limiti predetti, essa deve ritenersi ritualmente acquisita se la parte interessata non ne abbia tempestivamente eccepito la inammissibilità in sede di assunzione o nella sua prima difesa successiva nell'ambito dello stesso grado di giudizio. Ne consegue che la relativa nullità, essendo rimasta sanata, non può essere eccepita e fatta valere per la prima volta in sede di appello neppure dalla parte che sia rimasta contumace volontaria nel giudizio di primo grado ed a maggior ragione non può essere eccepita per la prima volta in sede di legittimità.

  • E’ stato pubblicato il D.M. 18 ottobre 2010, n. 180, sulla Gazzetta Ufficiale 4 novembre 2010, n. 256, in attuazione deldecreto legislativo n. 28 del 2010 :   i criteri e le modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché le indennità spettanti agli organismi sono stati, quindi, definiti.

  • Con sentenza n. 6934 del 25 marzo 2011 la Corte di Cassazione ha confermato che, per la configurabilità della residenza fiscale nello Stato, sono richiesti tre presupposti, indicati in via alternativa: il primo, formale, rappresentato dall'iscrizione nelle anagrafi delle popolazioni residenti, e gli altri due, di fatto, costituiti dalla residenza o dal domicilio nello Stato ai sensi del codice civile; ne consegue che l'iscrizione del cittadino nell'anagrafe dei residenti all'estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorchè il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonchè delle proprie relazioni personali (Cass. Sez. 5^, Sentenza n. 14434 del 15/06/2010); si tratta cioè del centro degli interessi vitali, ossia del luogo con il quale il soggetto ha il più stretto collegamento sotto il profilo degli interessi personali e patrimoniali.

  • Con ordinanza n. 1054 del 17 gennaio 2011 la Corte di Cassazione ha ribadito che , ai sensi dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, nel ricorso debbono essere indicati, in maniera specifica e puntuale, tutti gli elementi utili perchè il giudice di legittimità possa avere completa cognizione dell'oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalle parti, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, così da acquisire un quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione censurata e i motivi delle doglianze prospettate. In mancanza, il ricorso è inammissibile, anche per difetto di autosufficienza.

  • Con l'ordinanza n. 1055 del 17 gennaio 2011 la Corte di Cassazione ha dichiarato manifestamente infondato, con procedimento in Camera di Consiglio ai sensi degli articoli 375 e 380 bis c.p.c., il ricorso ove il ricorrente non aveva evidenziato vizi logici o giuridici nella motivazione della sentenza impugnata, tali da dimostrarne l'inidoneità a giustificare la decisione, ma aveva solo manifestato il suo dissenso dal merito delle valutazioni compiute dal giudice di appello, materia giudicata non suscettibile di censura in sede di legittimità.

  • Con la sentenza del 15.03.2012 n. 4149, la Corte di Cassazione ha affermato che la dedotta erroneità della decisione per vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. non può basarsi sulla ricostruzione soggettiva dei fatti che il ricorrente formuli procedendo ad una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al Giudice di merito ed è sottratta, pertanto, al controllo di legittimità della Corte. La Suprema Corte ha, altresì, precisato che il vizio di motivazione deducibile ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del Giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato.

  • Con la sentenza del 24.07.2012 n. 12930 la Corte di Cassazione ha confermato il principio secvondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che censuri un'argomentazione della pronuncia gravata svolta ad abundantiam e che, conseguentemente, non rappresenti una ratio decidendi della medesima, atteso che un'affermazione contenuta nella motivazione della sentenza di appello che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione per difetto di interesse.

  • Con la sentenza del 01.08.2012 n. 13794 la Corte di Cassazione ha precisato che, a norma dell'art. 133 c.p.c., la consegna da parte del giudice dell'originale della sentenza al cancelliere avvia il procedimento di pubblicazione della sentenza che si compie, senza soluzione di continuità, con la certificazione del deposito mediante l'apposizione in calce della firma del cancelliere e della data che devono essere contemporanee alla data della consegna ufficiale della sentenza, in tal modo resa pubblica per effetto di legge. La Suprema Corte ha inoltre precisato che l'attività del cancelliere è meramente ricognitiva della completezza del documento, con la conseguenza che tutti gli effetti giuridici derivanti dalla pubblicazione della sentenza decorrono dalla data del suo deposito.

  • Con la sentenza dell'11.11.2011, n. 23620 la Corte di Cassazione ha precisato che, in caso di sequestro giudiziario, il custode giudiziario ha la piena disponibilità dei canoni e in genere di tutti i frutti civili dell'immobile sequestrato atteso che viene immesso dall'ufficiale giudiziario nel possesso dell'immobile stesso.La Suprema Corte ha, pertanto, chiarito che essendo i frutti dell'immobile assoggettato a sequestro nella disponibilità del custode, il proprietario del bene è escluso dall'imposizione fiscale che graverà, di contro, sul custode amministratore.

  • Con sentenza del 6 aprile 2011 la Suprema Corte ha ribadito che l'esclusione dalla sospensione feriale dei  termini (dal 1 agosto al 15 settembre di ogni anno), prevista dalla L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 3, per le opposizioni all'esecuzione o agli atti esecutivisi applica anche al termine per proporre ricorso per cassazione: il principio sancito dalla L. n. 742 del 1969, art. 3, secondo cui talune cause, quali quelle di opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi, non sono sottoposte a sospensione durante il periodo feriale, deve intendersi riferito all'intero corso del procedimento, sicchè esso ha indiscutibilmente riferimento anche ai termini per proporre ricorso per cassazione

  • Con la sentenza del 04.01.2013, n. 134 la Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo cui la soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale tra le parti delle spese processuali, sottende una delle seguenti ipotesi:a) una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate e che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti;b) l'accoglimento parziale dell'unica domanda proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri;c) l'accoglimento parziale in termini quantitativi di una domanda articolata in un unico capo.

  • Con la sentenza del 03.01.2013, n. 84 la Corte di Cassazione ha affermato che le spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, che ha natura di allegazione difensiva tecnica, rientrano tra quelle che la parte vittoriosa ha diritto di vedersi rimborsate, a meno che il giudice non si avvalga, ai sensi dell'art. 92 c.p.c., comma I, della facoltà di escluderle dalla ripetizione ritenendole eccessive o superflue.

  • La Corte di Cassazione con sentenza n. 13482 del 20 giugno 2011, mutando il precedentre orientamento, ha affermato che gli onorari e i diritti di procuratore per le voci tariffarie "consultazioni con il cliente" e "corrispondenza informativa con il cliente" sono ripetibili nei confronti della parte soccombente in sede di precetto intimato dalla parte vittoriosa anche successivamente ed in relazione alla sentenza definitiva. Ha pure asserito cheanche nel precetto, d'altro canto, possono ammettersi spese o competenze per attività non ancora espletate, purchè normalmente riconducibili allo sviluppo procedimentale, a condizione poi che esse siano effettivamente poste in essere e potendo contestare l'intimato la loro debenza appunto con la prospettazione del loro mancato espletamento.