Con la sentenza del 15.05.2012, n. 7527 la Corte di Cassazione ha precisato che la prescrizione presuntiva di cui all'art. 2956, comma I n. 2), c.c., anche se fondata su di una presunzione, è cosa ben diversa dalla presunzione stessa e, a differenza di questa, non è un mezzo di prova, ma incide direttamente sul diritto sostanziale limitandone la protezione giuridica.
Come chiarito dalla Suprema Corte, questa incidenza sostanziale non è, per sua natura, diversa anche se più limitata - da quella derivante dalla prescrizione ordinaria, che giunge sino all'estinzione del diritto, e, pertanto, è regolata dagli stessi principi, con la conseguenza che alla stessa è applicabile il principio di cui all'art. 2937 c.c. della rinunciabilità alla prescrizione.Affinché si verifichi l'ipotesi della rinuncia tacita alla prescrizione deve essere riscontrata una incompatibilità assoluta tra il comportamento del debitore e la volontà di avvalersi della causa estintiva del diritto altrui: nel comportamento del debitore deve, quindi, necessariamente essere insita, senza possibilità di una diversa interpretazione, l'inequivoca volontà di rinunziare alla prescrizione già maturata e, quindi, di considerare come tuttora esistente ed azionabile quel diritto, che si era, invece, estinto.Tale ipotesi secondo la sentenza in discussione si verifica nel caso in cui il cliente di un professionista, a fronte della parcella da quest'ultimo presentata, adduca sia verbalmente che per iscritto "la propria difficile situazione economica” e chieda al professionista di soprassedere dal porre in essere azioni legali volte al recupero dei propri compensi affermando di “non volersi sottrarre ai suoi doveri in merito alle prestazioni svolte e dia la propria parola che non sarebbe cambiato il suo impegno a regolare la propria posizione appena possibile" posto che tali dichiarazioni sono da ritenere "incompatibili con la volontà di avvalersi della prescrizione (in ipotesi) maturata relativamente a taluni dei compensi vantati dal professionista”.