diritto civile

  • Il diritto di recesso (o di ripensamento) viene disciplinato ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. n. 206 (c.d. codice del consumo) del 6 settembre 2005 e consiste nella facoltà, in capo al consumatore, di recedere da un contratto a distanza o negoziato fuori dai locali commerciali senza dover fornire alcuna motivazione e senza dover sostenere i costi di spedizione per un periodo di quattordici giorni lavorativi decorrenti dalla consegna.

    Tale diritto viene concesso solo ed esclusivamente al consumatore, in quanto parte debole del contratto concluso con un professionista. Con il termine consumatore, ai sensi dell’art. 3 del codice del consumo, si intende «la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta».

    Questo comporta che una società (sia essa di persone o di capitali) non potrà mai essere qualificabile come consumatore mentre, per quanto attiene alle persone fisiche, sarà necessario valutare se l’acquisto, anche laddove sia fatto da un soggetto che svolge attività imprenditoriale e/o professionale, sia compiuto al fine di soddisfare esigenze di vita quotidiana estranee all’esercizio di detta attività (in tal senso, Cass. Civ. n. 15531/2011; id. 13377/2007; id. 13643 del 2006; id. 10127/2001).

    Nel caso delle persone giuridiche e delle persone fisiche non consumatori, troveranno dunque applicazione le sole garanzie e tutele previste dal codice civile. Invero, l’art. 1487 cod. civ. evidenzia come i contraenti possano liberamente pattuire condizioni di garanzia diverse e ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge potendo, con apposite clausole contrattuali, modificare la disciplina base prevista a favore del compratore.

    Nella prassi, molti dei maggiori venditori online tendono ad estendere la tutela prevista a favore del consumatore anche nei confronti dei non consumatori, nonché ad introdurre l’ulteriore garanzia del reso entro un termine superiore ai quattordici giorni, in modo da permettere una tutela più ampia ai propri clienti; per tale motivo ed avvenendo solitamente la stipula del contratto online mediante adesione del compratore alle condizioni imposte dal venditore, è sempre necessario dare attenta lettura alle stesse per comprendere quali facoltà siano convenzionalmente pattuite a favore del compratore, a prescindere dalla propria qualifica.   

    Dott. Mattia Angeleri 

  • La Corte di Cassazione con sentenza n. 2334 del 31/01/2018 ha dichiarato come il raggiungimento della maggiore età non estingue automaticamente l’onere di vigilanza previsto ai sensi dell’art. 2048, secondo comma, c.c., ma certamente ne modifica il contenuto. Per giurisprudenza costante infatti «affinché sussista responsabilità ex art. 2048, comma 2, occorre che il fatto sia prevedibile ovvero prevenibile»: questo comporta che il raggiungimento della maggiore età incida sul contenuto dell'onere probatorio dell'insegnante, in quanto la dimostrazione della maggiore età dell’allievo deve ritenersi ordinariamente sufficiente per provare che l’evento dannoso ha costituito un caso fortuito, essendo stato posto in essere da persona non necessitante di vigilanza alcuna in quanto giunta ad una propria completa capacità di discernimento, e dunque da una persona che non era prevedibile che tenesse una tale condotta. Ne consegue che sarà più facile per il docente dimostrare di non aver potuto impedire il fatto, liberandosi così dalla responsabilità oggettiva prevista ai sensi dell’art. 2048 c.c.

  • La Corte di Cassazione n. 22593 del 27.09.2017, riprendendo un principio giurisprudenziale enunciato per la prima volta con la sentenza a Sezioni Unite n. 26725 del 19.12.2007 ha sottolineato come «in relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative in difetto di espressa previsione in tal senso (c.d. ‘‘nullità virtuale’’), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere solo fonte di responsabilità». Nello specifico la corte enuncia come «la violazione dei doveri d'informazione del cliente può dar luogo a responsabilità precontrattuale (con conseguente obbligo di risarcimento dei danni) ove tali violazioni avvengano nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto d'intermediazione; può dar luogo a responsabilità contrattuale (e condurre alla risoluzione del contratto) ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni d'investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto».

  • La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n. 11135 del 04.07.2012 ha risolto un dibattito giurisprudenziale in merito alla corretta qualificazione della posizione di un comproprietario di un immobile locato dall’altro comunista ad un soggetto terzo senza previa condivisione dell’attività di disposizione del bene comune.

    Sul punto prima della pronuncia in questione si distinguevano due diverse teorie: un primo orientamento riteneva che la fattispecie in esame avrebbe dovuto seguire le regole del mandato senza rappresentanza; secondo un altro orientamento, sarebbe stato possibile sussumere la fattispecie in questione nello schema della gestione d’affari nell’interesse comune.

    La differenza rilevava sul piano pratico oltre che teorico, dato che solo nel secondo caso sarebbe stato possibile tutelare l’affidamento del conduttore (il contratto di locazione sarebbe rimasto pienamente efficace nonostante la mancanza del consenso di tutti i comproprietari) e lasciare comunque intatta la pretesa di tutti i comunisti all’ottenimento della quota dei canoni ricevuti dall’unico formale locatore (il non locatore infatti, a seguito, di ratifica avrebbe potuto partecipare alla divisione dei canoni percepiti a seguito della locazione sulla base della propria partecipazione alla comunione).

    Le Sezioni Unite hanno definitivamente sposato il secondo orientamento, sostenendo che «la locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari rientra nell'ambito della gestione di affari altrui ed è soggetta alle regole di tale istituto, tra le quali quella di cui all'art. 2032 cod. civ., sicché, nel caso di gestione non rappresentativa, il comproprietario non locatore può ratificare l'operato del gestore e, ai sensi dell'art. 1705, secondo comma, cod. civ., applicabile per effetto del richiamo al mandato contenuto nel citato art. 2032 cod. civ., esigere dal conduttore, nel contraddittorio con il comproprietario locatore, la quota dei canoni corrispondente alla rispettiva quota di proprietà indivisa».

    Dott. Mattia Angeleri