Con sentenza del 24 gennaio 2011 n. 1612 la Suprema Corte ha riaffermato che il quesito di diritto che, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., la parte ha l'onere di formulare a pena d'inammissibilità nel ricorso per cassazione, deve consistere in una chiara sintesi logico- giuridica della questione sottoposta al vaglio del Giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta, negativa od affermativa, che ad essa si dia, discenda in modo univoco l'accoglimento od il rigetto del gravame (cfr. Cass., Sez. Un., 28 settembre 2007, n. 20360; 30 ottobre 2008, n. 26020). La sua formulazione, pertanto, non può risolversi in una generica richiesta rivolta alla Corte di stabilire se sia stata violata una certa norma ma postula l'enunciazione, da parte del ricorrente, di un principio di diritto diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato e, perciò, tale da implicare un ribaltamento della decisione assunta dal giudice di merito (cfr. Cass. Sez. 3^, 19 febbraio 2009, n. 4044). Il quesito, dovendo investire la ratio decidendi della sentenza impugnata e proporne una alternativa e di segno opposto, deve comprendere pertanto l'indicazione sia della regula juris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo (cfr. Cass., Sez. lav., 26 novembre 2008, n. 28280; Cass. Sez. 3^, 30 settembre 2008, n. 24339).